Ansia scolastica: come prevenirla, come curarla
Pubblicato il 20 Settembre 2024 da Chiara Mainini
L’ansia scolastica è tra le cause più comuni di ansia nei ragazzi e negli adolescenti: ne soffre una percentuale di bambini e adolescenti compresa tra il 5% e il 28% ed è la causa principale di abbandono scolastico.
(Fonte: Orizzonte scuola)
Prevenirla, riconoscerla quando si presenta e saperla affrontare prontamente è molto importante per la stabilità emotiva dei nostri figli e anche per il loro benessere scolastico generale.
E siccome la scuola è appena ricominciata, abbiamo pensato che parlarne adesso fosse cosa buona e giusta.
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Che cos’è l’ansia scolastica?
Quella che chiamiamo comunemente “ansia scolastica” è in realtà normalissima ansia prestazionale.
Appartiene allo stesso genere dell’ansia che proviamo noi adulti quando dobbiamo svolgere un compito o una prestazione lavorativa particolarmente importanti.
I bambini e i ragazzi la provano all’interno del loro contesto professionale, la scuola, in relazione a quelli che percepiscono come compiti e prestazioni particolarmente importanti (le interrogazioni, i compiti in classe, ecc.).
Va detto subito che l’ansia prestazionale è un’emozione: a contenuto spiacevole, ma comunque un’emozione che non è di per sè negativa.
È fisiologica quando resta circoscritta ad un determinato stadio dell’evoluzione e della crescita, quando non limita né impedisce l’agire dei bambini/ragazzi e quando viene positivamente superata.
Viene considerata patologica quando paralizza emotivamente, impedendo di espletare il compito assegnato e generando uno stato di agitazione eccessivo e incontrollabile.
Quindi, possiamo dire che avere paura di un compito in classe o di un’interrogazione è del tutto normale.
Non nel senso che succede a tutti, perché esiste anche chi, caratterialmente, non si spaventa per le prove prestazionali e anzi, si sente sfidato.
Ma nel senso che può succedere e non è nulla di strano.
Resta tutto nei limiti della normalità fino a quando, nonostante la paura, si riesce ad affrontare la prova, il compito o la prestazione in modo adeguato e senza subire un turbamento eccessivo o paralizzante.
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Perché alcuni bambini e ragazzi soffrono di ansia scolastica?
L’ansia patologica è considerata dagli esperti un problema ad eziologia multifattoriale.
In particolare, è scientificamente dimostrato che i disturbi d’ansia sono influenzati:
- dalla genetica: avere un genitore che soffre di disturbi d’ansia predispone ai medesimi disturbi
- dal temperamento individuale: i bambini e i ragazzi caratterialmente introversi hanno più possibilità di sviluppare un disturbo d’ansia
- dai fattori ambientali: per esempio, gli eventi traumatici e stressanti aumentano il rischio di incappare nell’insorgenza di un disturbo d’ansia
- dallo stile genitoriale: genitori troppo apprensivi, troppo presenti o ipercontrollanti possono aumentare il rischio che i propri figli hanno di andare incontro ad un disturbo d’ansia
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Prevenirla, ed eventualmente combatterla, è possibile?
Come già detto, ci sono fattori genetici e temperamentali che incidono sul rischio di soffrire di disturbi legati all’ansia.
Pertanto, non esiste una ricetta specifica per prevenire di sicuro la sua insorgenza in un bambino o ragazzo che vi sia particolarmente predisposto.
Tuttavia, vi sono delle buone pratiche che – come genitori – possiamo mettere in atto per ridurre al minimo le possibilità che il disturbo si presenti effettivamente, e per combatterlo qualora abbia già bussato alla porta.
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I 5 consigli degli specialisti per combattere l’ansia scolastica
Gli specialisti dell’età evolutiva sono tutti concordi nel ritenere che noi genitori abbiamo un ruolo fondamentale nella prevenzione dell’insorgenza di ansia prestazionale nei nostri figli.
In primo luogo, perché possiamo e dobbiamo evitare di essere ansiosi, noi per primi.
Noi siamo l’esempio al quale i nostri figli guardano per imparare a gestire la vita.
Come possiamo pretendere che affrontino serenamente la scuola se, per ogni interrogazione che devono sostenere, ci facciamo vedere tormentati o afflitti?
E quindi…
1. Mantenere la giusta distanza emotiva
Dobbiamo imporci di rimanere estranei al turbamento dovuto alle interrogazioni e ai compiti in classe.
Oppure, dobbiamo imporci di fingere benissimo.
Il che non significa soltanto fare gli indifferenti alla notizia di un’interrogazione in vista o di un compito programmato, ma anche resistere alla tentazione di mettersi seduti al tavolo con loro, facendo intere nottate svegli per ripassare tutto lo scibile umano.
I nostri figli devono vedere che attribuiamo alla cosa la giusta importanza, quella che ha. Senza minimizzare, ma neppure ingigantendone la portata.
Saper mettere gli eventi nella prospettiva corretta, dar loro il giusto peso, è fondamentale per non vivere schiacciati dall’ansia.
Dobbiamo insegnarlo ai nostri figli: e se non lo abbiamo mai imparato neppure noi, beh.. è arrivato il momento di farlo!
2. Evitare il pressing di domande
Ce lo ricordiamo il fuoco di fila delle domande che facevano a noi, da ragazzi?
“Come è andata? Hai studiato? Come hai risposto? Quanti errori hai fatto? Quanto hai preso? E gli altri?“
È un tipo di interessamento non solo è inutile ma è anche dannoso.
Intanto, perché stimola i paragoni.
Cosa importa quanti errori hanno fatto e quali voti hanno preso gli altri? Cerchiamo di essere coerenti: se non ci interessa a che ora gli altri hanno il permesso di tornare a casa il sabato sera (e lo sappiamo che non vi interessa), non devono interessarci neppure i loro voti.
Secondariamente, perché concentra il nostro interesse sul risultato della prestazione, alimentando l’ansia per il risultato della prestazione.
È l’annosa questione sull’utilità dei voti: ci interessa che i nostri figli imparino o che prendano i voti più alti della classe?
Taluni risponderebbero: “la seconda è garanzia della prima“.
Non è vero.
Perché ogni bambino, ogni ragazzo è diverso, ognuno ha limiti e potenzialità.
I nostri figli possono impegnarsi al massimo e imparare il più possibile in base alle loro capacità, senza necessariamente arrivare a prendere 10.
Così come un 6 non significa necessariamente aver studiato, o appreso, poco.
Dobbiamo allora concentrare le nostre domande sui nostri figli, anzichè sulle prove: “come pensi sia andata? Lo hai trovato facile o difficile? Secondo te gli argomenti del compito li hai trattati bene o potevi fare meglio?“.
Sempre, possibilmente, evitando l’effetto terzo grado!
3. Insegnare che l’essere umano è fallibile
Tutti possiamo sbagliare. Nessuno è infallibile.
Questo dovrebbe essere il primo capitolo di ogni libro, appena si entra a scuola.
Perché servirebbe ad insegnare ai bambini due concetti fondamentali:
- che un brutto voto non è una sentenza di morte
- che la perfezione non esiste
Invece cosa ripetiamo ossessivamente ai nostri figli? “Si può sempre fare meglio!“.
Che non è oggettivamente falso, perché tutti possiamo sempre migliorare proprio perché la perfezione non esiste.
Solo che noi lo diciamo mettendo l’accento sull’aspetto sbagliato, ossia il non accontentarsi mai del traguardo che abbiamo raggiunto.
E il risultato sono figli frustrati perché hanno preso un 7 dove volevano un 8.
Perché hanno risposto a 9 domande e volevano rispondere a tutte e 10.
Si può sbagliare.
Si può non sapere.
È lecito non essere perfetti.
Che non è, chiaramente, un invito a fare il minimo indispensabile.
Piuttosto, è un invito a comprendere che quando hai dato il tuo massimo, va bene così. Indipendentemente dal risultato che ottieni. Perché quello è il tuo massimo.
Magari migliorerai o magari no.
E va benissimo così, perché la perfezione non esiste.
4. Avere fiducia in loro
I genitori non dovrebbero mai, e ripeto, mai fare i compiti insieme ai figli.
Intanto, perché a scuola ci vanno i figli: i genitori ci sono già andati.
Secondariamente, perché i bambini devono imparare a camminare con le loro gambe.
Ovviamente, non si intende dire che i genitori devono essere del tutto assenti.
È giusto motivare i bambini ad eseguire i compiti, dirsi disposti a fornire piccoli aiuti o strategie per ottimizzare i tempi e i modi.
Ma il compito in sè deve essere svolto senza ausili.
Anche perché ciò è funzionale a capire se il bambino ha davvero fatto proprio l’argomento trattato.
Insegnare ai bambini a fare i compiti da soli è importante sotto diversi aspetti:
- sviluppa l’autonomia e l’indipendenza dei nostri figli in relazione alle loro responsabilità
- li responsabilizza, stimolandoli a prendere su di sè le conseguenze delle proprie azioni
- li aiuta a costruire una sana autostima
Per questi motivi non solo si dovrebbe evitare di fare i compiti con loro, ma si dovrebbero anche evitare dinamiche del tipo “ti sento storia“, soprattutto se calate sul collo a sorpresa come la lama del boia.
Non è utile, perché sarà l’insegnante a constatare se il bambino ha studiato o meno, ed è enormemente ansiogeno.
E se state leggendo questo articolo, voi l’ansia la vorreste – tendenzialmente – evitare. O no?
5. Mostrarsi comprensivi e ottimisti
Fin da quando i nostri bambini erano piccolissimi abbiamo sperperato una quantità inimmaginabile di soldi in libri sulle emozioni, per insegnare loro che tutte le emozioni vanno riconosciute, gestite e valorizzate, anche se negative.
Poi arrivano alla scuola media e, improvvisamente, dinanzi al loro panico da compito in classe diciamo cose come “non essere sciocco e concentrati!” oppure “se studi non hai niente di cui avere paura“.
Ma davvero?
Ma se queste cose le dicesse un collega a noi, quella mattina che abbiamo la presentazione davanti ai capi supremi di quel progetto che ci hanno appioppato giusto 3 giorni fa, cosa risponderemmo?
Di sicuro qualcosa di non trascrivibile in questo post.
Sul serio: sappiamo che l’adolescenza è di difficile gestione. Cerchiamo però di conservare la giusta coerenza educativa nel corso della crescita.
Se i nostri figli sono spaventati da un compito o da un’interrogazione, non significa che siano impreparati.
L’unica reazione che – come genitori – dovremmo avere è la comprensione: “ti capisco, succede spesso anche a me al lavoro”.
Magari, se ci riesce per come siamo fatte caratterialmente, condividere qualche esempio aiuterebbe.
Mostrare loro che anche noi a volte siamo in ansia per i nostri compiti in classe.
Raccontare di quando andavamo a scuola e dovevamo correre venti volte in bagno prima del compito di greco.
(Ogni riferimento a persone realmente esistenti…ehm..).
Questo li aiuterà non solo a ridimensionare l’emozione che provano, ma anche a vedere concretamente davanti ai loro occhi che comunque tutto si supera. Che la vita non finisce con quel compito o quella interrogazione, che c’è un dopo, che tutti ci sono passati e comunque ne sono usciti.
E dobbiamo trasmettere positività, ottimismo.
Drammatizzare un brutto voto non serve a niente.
Domandiamo piuttosto “cosa possiamo fare per recuperare?“.
E che Dio ce la mandi buona… anche questa volta!
Lettura consigliata
Domani resto a casa
libro di Stefano Vicari (Autore), Maria Pontillo (Autore)
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Claudio, 15 anni, è un asso in fisica, eppure ogni volta che viene chiamato alla lavagna ha un attacco di panico.
Marco, 7 anni, era un bambino sereno ma da un po’ di tempo al solo pensiero di preparare lo zaino urla e piange disperatamente.
Chiara, 13, è sempre stata benvoluta dai compagni ma la sera prima delle verifiche si sente soffocare, e il suo cuore batte all’impazzata.
L’ansia scolastica è un disturbo che crea livelli di angoscia e paura tali da compromettere non solo la frequenza e il rendimento in classe ma il benessere e la salute generale di bambini, bambine e adolescenti.
Stefano Vicari e Maria Pontillo inquadrano il fenomeno da un punto di vista scientifico ma con un linguaggio semplice e comprensibile, aiutandoci a capire cosa può scatenarlo, come riconoscerlo e intervenire, mentre la Scuola Holden dà voce alle storie di Claudio, Marco e Chiara in tre intensi racconti, accompagnati da bellissime illustrazioni.