Israele e Palestina: come spiegarlo ai bambini?
Pubblicato il 31 Gennaio 2024 da Chiara Mainini • Ultima revisione: 22 Agosto 2024
Sono mesi, ormai, che i telegiornali e i programmi TV di attualità propongono notizie e immagini terribili relative al conflitto israelo-palestinese.
I nostri figli hanno seguito e continuano a seguire con sgomento il lento ma costante degenerare della situazione e ci guardano con l’espressione smarrita di chi non riesce a comprendere, fino all’esplosione dell’inevitabile domanda: come scegliamo da che parte stare? Perché succede tutto questo? Dove sta il bene, dove sta il male?
Spiegare ai bambini il conflitto tra Israele e Palestina non è cosa facile.
Vuoi per la particolare delicatezza della situazione attuale, vuoi perché si tratta di una guerra con origini e ragioni talmente radicate nel tempo da essere lontanissime ed estremamente complesse da spiegare.
Tuttavia, riuscirci è possibile: anche ricorrendo all’ausilio di letture specifiche su questo argomento.
Indice dell'articolo
Israele e Palestina: come spiegare il conflitto ai bambini
Una piccola premessa storica va fatta, adattando la complessità del contenuto e la dovizia di particolari alla capacità di comprensione dei nostri figli in rapporto all’età.
Per tutti, una buona approssimazione del discorso potrebbe essere quella che segue.
I territori attualmente coinvolti dalla guerra sono contesi da migliaia di anni da due diversi popoli: gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi, in continuo conflitto tra loro per il controllo e il governo del territorio.
Gli ebrei, guidati dal Patriarca Abramo, si stabilirono nelle terre corrispondenti all’attuale Palestina nel 1800 A.C. Successivamente migrarono in Egitto, dove rimasero fino a quando la situazione politica degenerò durante il regno dei Faraoni Ramsete II e Merenptah, che attuarono nei loro confronti diverse sanguinose persecuzioni.
Nel 1200 A.C. gli ebrei tornarono nei territori palestinesi: conquistarono Gerico e, dopo sanguinosi conflitti, anche la città di Gerusalemme ma, con la morte di Re Salomone – ultimo Re della dinastia ebraica – iniziò il loro lento declino.
Il loro regno venne diviso in due: da un lato il regno di Israele, dall’altro il regno di Giuda, che in breve tempo vennero sottoposti a diverse dominazioni straniere.
Questo fu l’inizio della loro diaspora, che peggiorò durante il regno dei Babilonesi e sotto l’impero romano, causando la loro definitiva dispersione nel resto del mondo.
Queste sono le origini storiche profonde di questo conflitto e il principale motivo per cui il popolo ebraico è storicamente considerato un “popolo senza terra”.
La nascita del Sionismo e il ruolo del colonialismo Inglese
Alla fine del XIX secolo, a seguito di una forte pressione da parte dei vari nazionalismi europei a trovare una soluzione alla questione ebraica e a causa di un sempre crescente sentimento anti semita, nacque il Sionismo.
Il Sionismo è un movimento politico che tentò di risolvere la questione ebraica affermando il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico e ipotizzando che la Palestina e l’Argentina potessero essere i giusti territori per stabilizzarne definitivamente lo stanziamento.
La Palestina venne infine preferita a causa della presenza geografica di un aggregatore potentissimo: Gerusalemme.
A quel punto, l’esodo ebraico verso la Palestina – già cominciato da diverse zone europee alla fine del 1800 – si intensificò, raggiungendo l’apice durante la Prima guerra mondiale.
Quando questa finì, i paesi vincitori decisero di dividersi le province arabe del disgregando Impero ottomano.
Con la Conferenza di Sanremo, avvenuta nel 1920, si stabilì che il territorio della Palestina e quelli corrispondenti agli attuali Iraq e Giordania, dovessero essere posti sotto il controllo della Gran Bretagna, mentre i territori corrispondenti agli attuali Siria e Libano vennero posti sotto l’autorità della Francia.
Gli accordi prevedevano che le due potenze coloniali amministrassero questi territori aiutandoli nella costruzione del loro cammino verso l’indipendenza.
Il problema principale nacque qui: perché la Gran Bretagna aveva dichiarato apertamente di appoggiare l’immigrazione degli ebrei europei in Palestina e questa decisione incrinò i rapporti con il popolo Palestinese.
Gli anni dell’amministrazione inglese furono caratterizzati da numerosi conflitti, spesso molto violenti, per protestare contro il governo britannico ma anche da un consistente e costante movimento migratorio degli ebrei europei in queste terre, che cambiò radicalmente l’assetto demografico della Palestina. In vent’anni, infatti, il numero di ebrei presenti sul territorio è triplicato, passando dal 11 al 33%, a scapito della componente araba palestinese, che pur aumentava.
Proprio per porre fine a questi conflitti, nel 1948 L’assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò, con la Risoluzione 181, un progetto di spartizione del territorio palestinese.
Questo progetto prevedeva la costituzione di due diversi stati, uno ebraico e uno arabo, con spartizione dei territori e Gerusalemme posta sotto il controllo delle autorità internazionali.
Questo accordo, però, non risolse i conflitti tra i due popoli.
La maggioranza degli arabi residenti in Palestina e la totalità degli stati arabi indipendenti lo rifiutarono.
A quel punto, i rapporti con Israele – che accettava il piano di partizione – peggiorarono rapidamente e si arrivò alla guerra civile in Palestina, alla guerra arabo-israeliana del 1948 e alla guerra dei sei giorni del 1967 che comportò l’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele.
Uno dei problemi principali è dato dal controllo dei territori palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.
Il problema di Gaza
La Striscia di Gaza è un territorio molto popolato che si trova sotto il controllo di Hamas, un gruppo politico-palestinese considerato terroristico da Israele e da molti altri paesi.
Israele pretende di controllarla in virtù della sua presenza millenaria in quei territori.
La Palestina rivendica la sovranità sul territorio di Gaza nel quale, a seguito dell’esodo dovuto alla guerra del 1948, i profughi palestinesi si sono rifugiati.
L’esercito israeliano l’ha occupata in seguito alla guerra dei sei giorni nel giugno del 1967 e, anche se nel 2005 è stato completato il ritiro dei contingenti e dal 2006 – in seguito ad apposite elezioni – Hamas ne ha preso il controllo, di fatto il territorio è ancora controllato da Israele, che limita lo spazio aereo e marittimo della striscia, sei dei sette attraversamenti della frontiera terrestre e il movimento di merci e persone dentro e fuori dalla striscia.
Ad oggi, oltre un terzo dei due milioni di palestinesi che la abitano è costretto a vivere al di sotto della soglia di povertà*, in condizione di fame disperata con il solo ausilio degli aiuti umanitari e sotto il ferreo controllo degli Israeliani.
*dati tratti dal rapporto 2022 della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo.
La Cisgiordania
Anche la Cisgiordania è un territorio rivendicato dalla Palestina, che lo reputa illegittimamente occupato da Israele fin dal 1967, e fin dalla sua occupazione è suddivisa in zone che sono sia sotto il controllo di Israele che sotto il controllo dei palestinesi.
I quali, va ricordato, professano religioni diverse.
Gerusalemme – crocevia millenario tra ebrei, cristiani e musulmani – è costante motivo di scontro tra i gruppi religiosi che ne rivendicano il controllo.
Ora, come tutti sappiamo, la questione Israelo-palestinese è terribilmente più complicata di come l’abbiamo sintetizzata qui.
Per questo ci scusiamo se questo super riassunto pecca di eccessiva semplicità e superficialità.
Ci sembra però il minimo sindacale da poter mettere insieme per spiegare ai bambini il conflitto tra Israele e Palestina senza confonderli con troppi dettagli.
Ed è inutile precisarlo: la nostra posizione è chiaramente e irrevocabilmente a sostegno del popolo Palestinese.
Ma per spiegare questo conflitto ai bambini non si può soltanto dire chi ha ragione, chi è il buono, qual è la parte giusta da appoggiare.
Bisogna fare di più.
Israele e Palestina: consigli per spiegare la guerra ai bambini
A partire dagli 8-9 anni di età è, a nostro avviso, possibile offrire ai bambini contenuti semplificati e controllati, per spiegare in modo chiaro e diretto la spinosa questione mediorientale.
Tuttavia è chiaro che il primo step da fare – nel caso non avessimo mai toccato con loro l’argomento – sia spiegare la guerra ai bambini in modo che possano comprendere senza turbamenti cosa significhi realmente un conflitto così violento tra più popoli.
Ne abbiamo già perlato in precedenza, a proposito dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, e lì vi rimandiamo per leggere i nostri consigli su come orientarsi in questo difficile discorso.
LEGGI ANCHE: Come spiegare la guerra a bambini e ragazzi
Letture Consigliate
Leggere libri adatti all’età che trattino la questione mediorientale è sicuramente un ottimo modo per aiutarli a capire attraverso il meccanismo dell’immedesimazione.
Questa zebra non è un asino
libro di Giorgio Scaramuzzino e Gek tessaro, per Salani
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La storia vera di un’amicizia tra un bambino, una zebra e il guardiano di uno zoo, che testimonia la sopravvivenza di sentimenti buoni, che oltrepassano le ideologie e dimostrano che ci sono rapporti umani profondi che nemmeno le guerre millenarie possono scalfire.
Dai 7 anni.
Una bottiglia nel mare di Gaza
libro di Valérie Zenatti e Federica Angelini per Giunti
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Una giornata qualsiasi a Gerusalemme. Un attentato: un kamikaze in un caffè, sei morti, due giorni di telegiornali continui. Dopo una speranza di pace, la Città Santa sembra andare dritta all’inferno. Tal proprio non riesce ad accettare la situazione, ama troppo la sua città e la vita. Vorrebbe morire molto vecchia e saggia. Un giorno un’idea le illumina la mente: un messaggio in bottiglia potrebbe avvicinarla a una ragazza “dell’altra parte”, in modo da superare, insieme, illusioni e disillusioni e cercare finalmente un’unità. Tal immagina già questa nuova amica, sogna di specchiarsi in lei. E intanto chiede al fratello di lasciare la bottiglia su una spiaggia di Gaza. Dentro, il suo indirizzo email e tante speranze. A inviarle una risposta è Gazaman, e non sembra certo un messaggio di pace.
Da 11 anni.
Cronache di Gerusalemme
libro di Guy Delisle, Francesca Martucci e Andrea Merico per Rizzoli
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Agosto 2008: un volo notturno porta Guy Delisle a Gerusalemme, dove il fumettista e la sua famiglia trascorreranno un anno della propria vita per dare modo a Nadège, la compagna di Guy, di partecipare a una missione di Medici Senza Frontiere. Vivranno a Beit Hanina, un quartiere nella zona est della città che sin dalla prima passeggiata si mostrerà, in tutta la sua desolazione, decisamente diverso dalla Gerusalemme propagandata dalle guide turistiche; e si destreggeranno più o meno goffamente in una quotidianità fatta di checkpoint e frontiere – teatro di perquisizioni e infiniti quanto surreali interrogatori -, delle mille sfumature di laicità e ultraortodossia, di tensioni feroci e contrasti millenari, e della disperata speranza, della rabbia e della frustrazione del popolo palestinese, in lotta ogni giorno contro l’occupazione, devastato dall’atrocità di un attacco (la tristemente nota Operazione Piombo Fuso) di cui l’autore si trova a essere basito spettatore. Una quotidianità condizionata dunque da grandi questioni, eppure fatta, come ogni altra, di piccoli momenti, narrati dall’autore di “Pyongyang”, “Cronache birmane” e “Shenzen”.
Dai 13 anni.