Spiegare il razzismo ai bambini: perché è importante?
Pubblicato il 6 Maggio 2023 da Chiara Mainini
Il 21 marzo di ogni anno si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale.
La data fu scelta in onore del massacro di Sharpville, avvenuto il 21 marzo 1960 a Sharpville, in Sudafrica. Quel giorno, un giorno qualunque nel bel mezzo dell’apartheid, la polizia aprì il fuoco su un gruppo di manifestanti di colore, ferendone 180 e uccidendone 69.
Eppure, questa data è universalmente conosciuta e riconosciuta semplicemente come il primo giorno di primavera.
Ma è il modo in cui riconosciamo le persone e gli eventi che cambia il mondo in meglio, quando è possibile. E forse, se il 21 marzo smettesse di essere per tutti soltanto il primo giorno di primavera, ci sarebbero più diritti e meno ingiustizie.
Indice dell'articolo
Perché è importante spiegare il razzismo ai bambini?
La Pandemia di Covid-19, ben lungi dal trasformarci in esseri umani progrediti e migliori, ha invece evidenziato moltissimi fenomeni di discriminazione.
Secondo un’indagine condotta da Ipsos per Save the Children, durante la pandemia di Covid-19 quasi un adolescente intervistato su 10 (8%) ha dichiarato di aver assistito a episodi di discriminazione on line nei confronti di coetanei per varie motivazioni: non avere i device per fruire della DAD (PC, smartphone) e/o avere problemi di connessione (1 su 11), essere positivi al covid-19 (1 su 25) o semplicemente essere di origine straniera e/o non parlare l’italiano (1 su 25).
Avreste mai immaginato dati simili, prima della pandemia, se non in contesti già culturalmente degradati?
Che cos’è un virus?
A scuola insegniamo ai bambini che un virus è un’entità che infetta gli esseri viventi, destinata a imperversare a proprio piacimento dentro di loro, se non trova un ostacolo tanto forte da combatterlo e annientarlo.
Il virus Sars-Cov-2 ci ha insegnato che ci sono virus che usano il nostro stesso dna contro di noi, uccidendoci più o meno lentamente.
Il razzismo è un virus, ne ha tutte le caratteristiche: infetta gli esseri viventi, si annida dentro di loro e usa quello che sono per distruggere altri esseri viventi, imperversando liberamente e diffondendosi quando non incontra un ostacolo tanto forte da poterlo fermare.
L’ostacolo che possiamo mettere tra noi e questo virus si chiama conoscenza, cultura dell’uguaglianza e dell’accoglienza, senso fraterno di giustizia e inclusione sociale.
Che società abbiamo costruito se in appena tre anni siamo passati dal razzismo contro George Floyd a quello contro gli adolescenti che non hanno un pc, o che non parlano bene l’italiano, o che sono semplicemente ammalati?
I risultati di questa indagine Ipsos non restituiscono una bella immagine dei genitori che siamo e del lavoro che abbiamo fatto fino ad ora e questo è molto doloroso da accettare.
Come spiegare il razzismo ai bambini
Il razzismo è uno di quei fenomeni di contenuto tipicamente negativo.
Non solo nel senso che è ovviamente spregevole, ma soprattutto nel senso che non si può spiegarlo con sufficiente efficacia se prima non si forniscono gli strumenti giusti per riconoscerlo.
Va spiegato a contrario, parlando di ciò che razzismo non è.
Spiegato meglio?
Se vogliamo che i nostri bambini capiscano davvero cos’è il razzismo, dobbiamo portarli a un livello di conoscenza che – dinanzi a un comportamento o a un atteggiamento razzista – faccia sì che siano loro stessi i primi a dire “ma quanto è stupido questo commento/comportamento?”
In altre parole: l’antidoto al virus razzista è la conoscenza.
Conoscenza significa aprire la mente a quello che accade fuori dalle nostre case, dalle nostre abitudini, dalla nostra mentalità e dai valori nei quali crediamo.
Magari l’assioma può stupire, ma ci sono valori diversi dai nostri e ugualmente meritevoli di rispetto e considerazione.
Perché la nostra è soltanto una delle culture possibili e non ce l’hanno faxata dall’alto dei cieli col bollino di autenticità.
Mostrare come vivono le altre persone, come si vestono, come pregano, cosa mangiano, perché sì: il razzismo si spiega anche a tavola.
Offrire ai bambini cibi provenienti da altre parti del mondo, cucinati come si fa nelle cucine di altri paesi, significa dar loro l’opportunità di diventare adulti che non considereranno un cibo una schifezza solo perché parte di una cultura differente.
Ho un’amica che fa la foodblogger: è intelligente, capace, brillante e con un mix speziato di varie origini, nel sangue.
Cucina piatti etnici che profumano già in foto e, talvolta, quando posta su instagram o sui social, per il solo fatto di avere un nome italiano deve sorbirsi commenti come “ma sei italiana, invece di cucinare ‘ste schifezze non puoi fare un piatto di pasta al sugo? O di lasagne?”.
Ste schifezze.
“Ste schifezze” è l’espressione che svela un livello di chiusura mentale (e maleducazione) che nel 2023 fa spavento: e sono sempre gli adulti ad esprimersi così.
Non sarebbe bello se davanti a commenti umilianti per il genere umano evoluto, dal vivo o sui social, i nostri figli fossero i primi a rendersi conto di quanto sbagliato e terribile sia tutto ciò?
Perché questo è il vero modo di spiegare il razzismo ai bambini: mostrarlo. Educarli a un pensiero libero, altruista, inclusivo che sbugiardi senza mezzi termini chi si nasconde dietro lo spauracchio della “propria opinione”.
Ma non un’additare sterile, che segue princìpi didascalici come “le persone sono tutte uguali” o “tutte le persone hanno gli stessi diritti” (che pure è importante, ma non è tutto).
Parliamo di un’educazione a 360° gradi che li cresca consapevoli che le persone hanno davvero gli stessi loro diritti, sono davvero tutte uguali davanti alla legge, indipendentemente da come si chiamano, come si vestono, chi e come pregano, cosa mangiano, con chi decidono di fidanzarsi e sposarsi.
Allora sì che l’antidoto sarebbe più forte del virus.
Gli stereotipi generano razzismo
Chimamanda Ngozie Adichie, scrittrice che dovrebbe essere letta e scolpita nel cervello di ogni genitore che desidera educare i figli a non essere razzisti, nel suo libro Il pericolo di un’unica storia, parla così degli stereotipi:
raccontare un’unica storia crea stereotipi. E il problema degli stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano una storia in un’unica storia.
Cosa significa?
Significa che dobbiamo stare attenti a quello che diciamo, alle parole che usiamo, ai concetti che introduciamo nella vita dei nostri figli.
Se diciamo loro che un maschietto non deve piangere, impareranno che un maschio che piange è sbagliato.
Se diciamo loro che i pidocchi vengono solo a chi è sporco, impareranno che un amichetto coi pidocchi è sporco.
Così nascono gli stereotipi: quando decidiamo di esprimere un nostro pensiero (condivisibile o meno che sia) e lo vestiamo di un’assolutezza che non ha. Perché stiamo raccontando un’unica storia: quella in cui crediamo noi.
Alcune espressioni sono così fortemente radicate nel nostro modo di esprimerci che non ci rendiamo nemmeno più conto di quanto siano discriminatorie, oltre che del tutto fasulle.
Basterebbe fermarsi, a volte, e osservare il nostro linguaggio come farebbe un marziano appena arrivato sulla terra:
- “l’uomo di casa”
- “madre di famiglia”
- “mammo”
- “i neri hanno il ritmo nel sangue”
- “ce l’hai il fidanzatino?”
Sono esempi di modi di esprimerci ai quali, culturalmente, molti non ricollegano alcuna notazione negativa.
Ma le parole sono importanti, dobbiamo rieducarci ad utilizzarle nel modo giusto.
L’uomo di casa non esiste. Le donne possono vivere da sole già da diversi anni e senza sentire necessariamente la mancanza di un soggetto maschile.
Madre di famiglia è machista, parla di un individuo subalterno a un altro. Significa che prima di fare/dire/pensare qualcosa, una donna dovrebbe preoccuparsi dei suoi figli. Ma le donne sono perfettamente abili al lavoro, anche pesante, ai viaggi con le amiche o con gli amici, al divertimento in tarda ora notturna anche se hanno dei figli.
Mammo…è un insulto. Un uomo che si prende cura dei suoi figli, che li sfama, fa loro il bagnetto, li aiuta nei compiti, li porta a karate e li mette a letto, sta facendo il padre. A meno che i figli non siano di qualcun altro: in quel caso, fa il baby sitter o dà una mano a una coppia di amici.
I neri non hanno il ritmo nel sangue: possono essere ottimi ballerini o no, come accade in ogni altra etnia.
Ce l’hai il fidanzatino… ma perché non dire “sei fidanzata?” Cosa cambia se invece che con un uomo, la persona cui ci rivolgiamo sta insieme a una donna? Ci interessa sapere se sta insieme a qualcuno, o ci interessa sapere se quel qualcuno è un uomo?
Il ruolo del linguaggio, nell’educazione non razzista dei nostri figli, è tutto qui.
Libri utili per spiegare il razzismo ai bambini
Prima di tutto, un monito: se volete educare figli e figlie a non essere razzisti, prestate molta attenzione alle letture che proponete loro. E questo, fin dalla più tenera età.
A molti non piace che lo si dica apertamente, ma è un fatto: ci sono letture risalenti a qualche decennio andato che ritraggono una società ormai inesistente. Certamente figlia di valori forti e a quel tempo condivisi, ma non più attuali.
Sono fiabe, favole, racconti che si fa parecchia fatica a contestualizzare nel 2023. Non vanno demonizzati, assolutamente, ma difficilmente si potrebbero leggere in modo disinvolto a un bambino di oggi.
Non vi stiamo consigliando di gettare via i libri di quando eravate bambini e bambine: anzi, teneteli per quando i figli cresceranno.
Saranno delle belle letture da adulti, per osservare i mutamenti transgenerazionali anche attraverso lo specchio di alcune regine, se capite la metafora..
Fiabe contro il razzismo per bambini piccoli
Fondazione ISMU – Iniziative e studi sulla Multietnicità – produce e sostiene ricerche e iniziative sulla società multietnica e multiculturale e sui fenomeni migratori.
Nell’ambito di questa importante mission, ha avviato un progetto di selezione e raccolta di audio fiabe denominato fiabe dai 5 continenti, che offre l’ascolto gratuito di fiabe provenienti da ogni parte del mondo, narrate in diverse lingue dai collaboratori e dagli amici della Fondazione.
Non possiamo che raccomandarne l’ascolto, vista anche la gratuità.
Libri contro il razzismo per bambini in età scolare
La tematica del razzismo incrocia in modo prepotente quella della discriminazione antisemita e, quindi, ci sembra opportuno consigliarvi la lettura degli articoli che abbiamo scritto appositamente su questo argomento: Spiegare a bambini e bambine la persecuzione nazista contro gli ebrei e I migliori libri per spiegare a bambini e ragazzi il Giorno della Memoria
Rosa Parks, il No che cambiò la storia
di Sabina Colloredo, Edizioni EL
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C’è un No che ha cambiato il mondo.
Fu quello di Rosa Parks, una sarta di colore nell’epoca dell’apartheid, che rifiutò di cedere a un bianco il proprio posto sull’autobus.
In seguito alla sua protesta, divenne l’eroina e il simbolo delle battaglie per i diritti civili dei neri americani. Una lettura imprescindibile.
Età di lettura: da 7 anni.
Il razzismo spiegato a mia figlia
di Tahar Ben Jelloun, La nave di Teseo
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Questo è un libro che va letto prima dai genitori, per poi essere condiviso con i propri figli e le proprie figlie. Si tratta di un romanzo, scritto in forma di dialogo domanda-risposta e pubblicato per la prima volta nel 1998 dallo scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun.
Il saggio è strutturato nella forma di un dialogo tra l’autore e la figlia di circa dieci anni, con domande che la bambina rivolge al padre per cercare di chiarire a se stessa il significato della parola razzismo. L’opera è stata scritta poco dopo la manifestazione contro il progetto di legge Debré, tenutasi in Francia il 22 febbraio 1997, col quale si proponeva la confisca del passaporto agli stranieri irregolari e la registrazione delle impronte digitali di chiunque richiedesse un permesso di soggiorno.
La legge fu approvata il successivo 24 aprile 1997.
Alla manifestazione l’autore aveva partecipato con la figlia di dieci anni Mérième, la quale colpita dagli slogan e dalle sfilate di protesta aveva cominciato a porre al padre domande sul razzismo.
Un libro potente e straordinario sul dovere di educare davvero i nostri figli e le nostre figlie alla libertà e all’uguaglianza.
Come spiegare il razzismo ai bambini: un libro per i genitori
Americanah, di Chimamanda Ngozi Adichie, Einaudi
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Quante sfumature può avere il colore nero?
Nero è il colore della pelle dell’emigrato, dello schiavo, del musulmano: tre sfumature del medesimo termine. Americanah getta uno sguardo impietoso su cosa significhi essere neri in tre continenti diversi: Africa, in Europa e in America.
Un romanzo sul razzismo a tutto tondo, nello stile di Adichie che parla sempre al cuore e mai alla ragione.
Volete educare i vostri figli e le vostre figlie ad essere anti-razzisti?
Dovete leggere Chimamanda Ngozi Adichie, prima.