Come aiutare un figlio con bassa autostima
Pubblicato il 17 Gennaio 2023 da Chiara Mainini • Ultima revisione: 1 Febbraio 2023
Aiutare un figlio con bassa autostima è un’esigenza fortissima per ogni genitore. L’autostima, da un punto di vista prettamente culturale, è percepita come un elemento importantissimo per il successo e lo sviluppo personale e, di conseguenza, avere un figlio che ne sia privo è motivo di grande preoccupazione per ogni mamma e ogni papà.
In questa preoccupazione c’è del giusto e dello sbagliato, a nostro avviso.
L’idea del “successo a tutti i costi”, prodotta dallo sviluppo della nostra cultura a partire dal secondo dopoguerra in poi, è molto pericolosa.
Si basa sulla convinzione che il successo sia la normale evoluzione della crescita di ogni individuo sano da un punto di vista psicologico e che il fallimento costituisca, invece, una deviazione dal percorso ordinario delle cose, dovuta necessariamente a una qualche forma di disistima di sè, di auto sabotaggio o depressione.
Questo approccio genera nei nostri figli quella che è comunemente definita come “ansia da prestazione“: sentono di dover essere all’altezza delle nostre aspettative, di dover eccellere, di dover dimostrare di avere un valore centrando gli obiettivi che noi reputiamo importanti.
In quest’ottica, non riteniamo che il miglioramento dell’autostima dei bambini sia lo strumento idoneo a garantire loro una vita ricca di successi.
La nostra visione parte da un punto di vista molto differente, nel quale ogni individuo ha in sè le potenzialità per costruire una vita felice e piena, ma il successo che otterremo lungo la strada – così come i fallimenti che totalizzeremo – non sono causati esclusivamente dal nostro modo di essere o agire.
Noi non siamo ciò che facciamo: il nostro valore non dipende dai risultati più o meno alti che otteniamo.
Come individui, ci muoviamo in una fitta rete di relazione tra eventi e persone, che sono parte integrante della nostra vita: siamo soltanto un fattore dell’equazione complessa che determina l’andare delle cose.
E dobbiamo imparare ad accettare che non tutto, e non sempre, possa andare come noi vogliamo senza che questo significhi necessariamente che la colpa sia nostra o che “il non avercela fatta come gli altri” dipenda solo dalla nostra incapacità.
Indice dell'articolo
Perché è importante aiutare i bambini a sviluppare la propria autostima?
Non per “avere successo”, denaro o potere, e nemmeno per costruire un avvenire socialmente invidiato o invidiabile dai più.
Chiediamoci: qual è il nostro desiderio più grande, in quanto genitori?
La risposta sarà una sola, in tutto il mondo, perché la lingua parlata dai genitori è unica: arrivare al momento in cui noi non ci saremo più avendoli aiutati a diventare persone autonome ed equilibrate, perfettamente in grado di vivere la propria vita serenamente, costruendo relazioni ed affrontando pericoli, senza avere più bisogno di noi.
Crescere bambini e bambine dotati di un buon livello di autostima è importante per insegnare loro ad affrontare gli eventi della vita con coraggio e determinazione, senza lasciarsi abbattere dalle difficoltà, e per aiutarli a sviluppare una capacità importante: la resilienza.
Nota al secolo come l’attitudine a gestire in modo proattivo gli eventi traumatici e le difficoltà, riorganizzandosi per affrontarli anzichè lasciandosi andare all’autocommiserazione.
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Far crescere l’autostima nei bambini: cosa è importante sapere?
La memoria del successo
Esiste una cosa che si chiama memoria del successo: la esercitiamo ogni volta che ripensiamo a quella volta nella quale siamo riusciti a raggiungere un obbiettivo che avevamo stabilito di voler raggiungere.
La memoria del successo è importantissima per i nostri bambini e le nostre bambine: perché aiuta a prestare attenzione ai momenti nei quali si superano i limiti e si riesce in ciò che prima faceva paura.
Kurt Vonnegut diceva: “quando siete felici fateci caso!”.
Ecco, secondo noi è altrettanto importante far caso a quando “ce la facciamo” e, quindi, insegnare ai nostri figli e figlie a fare altrettanto.
Molti genitori, vittime dei vecchi schemi educativi utilizzati nel corso della loro crescita, sono convinti che il modo vincente per educare i bambini alla vita sia convincerli che quando fanno bene è tutto normale, è il loro dovere, mentre quando sbagliano ci si trovi dinanzi ad una deviazione dalla normalità, che obbliga a mettere in evidenza l’errore commesso.
Lungi da noi voler sostenere che gli errori debbano passare inosservati: sono, al contrario, fondamentali per imparare e crescere, quindi vanno analizzati e studiati per non incapparvi più.
Ma siamo fermamente convinte che siano importanti alla stessa stregua dei successi, dei buoni risultati, delle vittorie, e vadano sottolineati con la stessa rilevanza.
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La sindrome dell’impostore
Se decidessimo di agire diversamente, correremmo il rischio di alimentare nei nostri figli la convinzione che la normalità della vita sia non sbagliare mai, avere sempre ottimi risultati, ottimi voti, eccellere in ogni contesto.
E siccome nessuno – nessuno – è indenne da sbagli, così facendo maturerebbero – da un lato – un’enorme ansia da prestazione, divenendo estremamente competitivi, persino con se stessi; e – dall’altro – la convinzione che gli errori commessi siano derivati dalla loro stupidità o dal non essere all’altezza degli altri o delle loro aspettative.
Questa è l’anticamera di una sindrome che gli psicologi chiamano “sindrome dell’impostore“.
Le persone che ne soffrono pensano di non dover mai sbagliare e che riuscire nel loro perfezionismo sia l’unico modo per dimostrare quanto valgono. E poiché nella vita non c’è proprio possibilità di evitare qualche errore o insuccesso, col tempo sviluppano la convinzione di non valere affatto. Si sentono degli impostori ( da qui il nome della sindrome), imbroglioni che ingannano il prossimo apparendo come persone valide quando sono solamente state fortunate, aiutate o al più destinatarie di eccessiva benevolenza da parte del giudizio altrui.
Atteggiamenti tipici di questa sindrome sono la procrastinazione, il continuo rimandare le occasioni di mettersi alla prova e – sempre – l’abbandono delle attività più difficili e importanti per dedicarsi a compiti molto più semplici, difficili da fallire: preferiscono essere considerate stupide piuttosto che incapaci, e si convincono di esserlo.
Strategie pratiche per aiutare un bambino timido e insicuro a migliorare la propria autostima
Ora che sappiamo esattamente per quali reali motivi dobbiamo coltivare l’autostima dei nostri figli e delle nostre figlie, ci chiediamo: e quindi? Materialmente, io che non faccio né la psicologa né la pedagogista, ma sono una semplice mamma/un semplice papà, cosa posso fare concretamente per aiutare mio figlio ad avere più autostima e credere in se stesso?
Diventiamo la memoria dei loro successi
I bambini insicuri o con scarsa autostima non ricorderanno neanche un’occasione nella quale sono riusciti ad affrontare un ostacolo, una paura, o a realizzare un obbiettivo.
Noi c’eravamo e possiamo essere la loro memoria.
Quando temono di non essere capaci a fare qualcosa che sembra difficile, ricordiamo loro quella volta che.
Quella volta che avevano paura di iniziare la terza elementare, perché sembrava difficile. E invece sono stati promossi in quarta e poi in quinta.
Quella volta che imparare ad andare in biciletta senza rotelle faceva molta paura ma poi hanno imparato persino ad andare sui pattini in linea.
Tendenzialmente, ogni volta che portano a termine qualcosa che all’inizio li spaventava molto, ricordiamoci di dire loro:
“hai visto? Non fa più paura, adesso!“
L’autostima è come un muro fatto di tanti mattoncini. I successi che riportiamo nel corso della vita sono alcuni di quei mattoncini: quelli passati fanno da base a quelli futuri.
Con i più piccoli può funzionare anche l’idea di un vero e proprio calendario dei successi, da aggiornare insieme ogni volta che se ne presenta l’occasione.
Ricordiamoci, però, che bisogna sempre distinguere il riconoscimento di un successo dall’apprezzamento del loro impegno: non solo perché non sempre impegnarsi equivale a riuscire, ma soprattutto perché celebrare solo il risultato e non lo sforzo e l’impegni profusi per raggiungerlo potrebbe generare la convinzione che il valore di una persona si esaurisca in ciò che ottiene.
Per questo motivo, per celebrare un successo è sempre meglio spostare l’attenzione sulla persona più che sul risultato in sè:
- davanti alla vittoria di una partita è preferibile dire “hai giocato molto bene, si è visto che ti sei impegnato molto!” piuttosto che “sei stato bravissimo, hai fatto tanti punti”
- davanti a un bel voto in un compito è preferibile dire ” sono orgogliosa di come hai studiato” piuttosto che “bravo, hai preso un bellissimo voto!”
Combattiamo la sindrome dell’impostore
Al netto dell’imprevedibilità degli eventi, che nella nostra premessa abbiamo espresso come il fattore ingestibile dell’equazione della vita, per evitare che i nostri figli e le nostre figlie sviluppino la sindrome dell’impostore è necessario insegnare loro che un errore e un successo hanno esattamente lo stesso valore.
Che ciascuno di essi può essere indipendente dalla nostra volontà (per esempio quando qualcun altro viene preferito a noi nell’attribuzione di un incarico che desideriamo) così come essere assolutamente meritato: se mi impegno, merito il successo che ottengo. Se non studio prima di un compito in classe, merito di non essere capace a svolgerlo.
Ma che, in nessun caso, il loro valore di persone dipenderà da quel successo o quell’errore.
Per questo scopo, le strategie vincenti sono:
- celebrare sempre i successi, come già detto spostando il focus dalla cosa alla persona
- analogamente, sottolineare sempre gli errori e analizzarli insieme a loro: perché li capiscano, non li trasformino in barriere o paure insuperabili e ne traggano un insegnamento
- sforzarsi di attribuire a successi ed errori la giusta importanza, evitando di dare ad intendere che il successo è normale mentre l’errore è straordinario e gravissimo
Quando parliamo dei loro errori, cerchiamo di evitare i toni mortificanti: manteniamoci assertivi, evitiamo di aggredire e accusare.
Anche in questo caso può tornare utile quella che, in comunicazione, viene chiamata regola del sandwich, cercando di esporre una critica costruttiva tra due riconoscimenti di valore, proprio come il ripieno posto tra due fette di pane:
“grazie per avermi aiutato a piegare il bucato, ma la rispostaccia che mi hai dato prima non mi è piaciuta per niente, non farlo più. Comunque complimenti anche per il compito di inglese: lo hai fatto veramente bene!”.
Cerchiamo di essere di supporto davanti alle difficoltà: che non significa sostituirci a loro per evitare che soffrano o abbiano delusioni, ma essere presenti per consigliarli e dire schiettamente io credo in te, so che puoi farcela.
Ma non dimentichiamo mai di aggiungere un altro pezzo di frase, egualmente importante:
..e se non dovessi farcela non ha importanza, riproverai. E io sarò accanto a te per aiutarti a provare di nuovo.
L’importante non è riuscire a tutti i costi, ma provarci a tutti i costi, senza paura. E il nostro compito di genitori è assicurarci che lo facciano, senza arrendersi mai.
Le dieci regole d’oro per aumentare l’autostima dei nostri figli
- dare sempre il buon esempio: potevamo metterla alla fine del decalogo, invece che all’inizio. Poi però abbiamo pensato che nessuna delle regole successive avrebbe un senso se noi per primi facessimo l’esatto opposto di ciò che vogliamo insegnare ai nostri figli e alle nostre figlie. Quindi, per ogni suggerimento che vi diamo, ricordatevi di essere sempre i primi a metterlo in pratica!
- Conosciamo e riconosciamo i nostri figli: dimentichiamo il bambino o la bambina perfetta che ci aspettavamo o che avevamo programmato di plasmare e prendiamo coscienza del fatto che i nostri figli e le nostre figlie sono persone, non omini di creta da modellare a nostro piacimento. Amiamoli e accogliamoli per come sono davvero.
- stabiliamo sempre limiti e regole che siano ragionevoli e, soprattutto, coerenti: per esempio, non ha senso aspettarsi che un bambino capisca da solo quando è ora di andare a dormire. Fissiamola noi, a un orario preciso. Ma quando la fissiamo dovrà essere quella e dobbiamo pretendere che venga rispettata. Naturalmente, è solo un esempio per semplificare la comprensione del concetto: molti bambini si addormentano spontaneamente senza che sia necessario fissare orari. Tuttavia ci preme precisare un’idea: la totale assenza di regole, in ogni settore e campo della vita, non è affatto libertà, è semplicemente trascuratezza.
- Evitiamo di essere eccessivamente protettivi: permettiamo ai nostri figli di correre qualche rischio, ponderato e calcolato ovviamente, perché è soltanto mettendosi alla prova che potranno rilevare e osservare la propria capacità di affrontare problemi e trovare soluzioni. Naturalmente, noi saremo lì dietro, sullo sfondo, da qualche parte, se dovesse servire.
- lasciamoli sbagliare: l’errore non è una peste da evitare ma uno strumento di apprendimento. Una volta qualcuno ha detto:
l’unico vero errore è quello da cui non impariamo nulla.
(John Powell, compositore)
..aveva ragione.
6. siamo (o diventiamo) assertivi: rendiamoci disposti all’ascolto vero dei nostri figli. Non quello presuntuoso, di persone adulte che presumono di sapere solo perché “ci sono già passate”. Parliamo di un ascolto reale, aperto alle loro emozioni e ai loro punti di vista. Il fatto che possano sbagliare nei loro ragionamenti è dovuto all’inesperienza e all’età e questo li mette in antitesi rispetto a noi. Sforziamoci di annullare quella distanza. Se domandiamo a un adolescente “con chi ti confidi quando hai un problema?”, spesso la risposta è “non con i miei perché non capirebbero”. Sta a noi dimostrare che possiamo capire.
7. aiutiamoli ad affrontare le paure offrendo il nostro supporto e incoraggiamento: non c’è niente che sia in grado di ingigantire una paura quanto la paura stessa. E una sola frase da parte nostra può aiutare tanto: ce la puoi fare, io lo so, credici anche tu. Spesso basta. E se non bastasse, noi saremo comunque lì. Dove altro potremmo andare?
8. insegniamo che i successi si costruiscono per tappe: avete mai sentito quel proverbio che dice che anche la scala più alta è comunque composta da singoli scalini? Il successo in ogni impresa è esattamente come una scala: non importa quanto sia ardua e difficile da scalare, la si percorre sempre un gradino alla volta. E quando arriveranno in cima, ricordatevi di far loro notare come – alla fine – non sembri più così impossibile. Questo li aiuterà a rendersi conto che ce l’hanno davvero fatta.
9. riconosciamo e aiutiamoli a riconoscere i loro talenti, coltivandoli: la scuola è importante ma il successo scolastico non è l’unico traguardo cui ambire, esattamente come nella vita degli adulti non esiste soltanto il lavoro. Se si dimostrano portati per altre attività incoraggiamoli a praticarle, perché avere una vita piena e soddisfacente è un diritto a tutte le età e non c’è cosa che gratifichi maggiormente l’autostima del praticare attività nelle quali si è particolarmente versati.
10. bandiamo dal nostro vocabolario l’odioso “te l’avevo detto!”: a chi serve, esattamente, ribadire che noi genitori conoscevamo la strada giusta? Siamo adulti, è ovvio e si spera che la conoscessimo: palesando questa affermazione si vince qualcosa? No, a parte l’odio imperituro dei figli per essere stati costretti a sentirla per l’ennesima volta. Se non hanno ascoltato un nostro consiglio significa che hanno esercitato il loro senso critico, decidendo per se stessi. Il fatto che la loro decisione li abbia condotti a un errore non deve essere motivo per noi di autocelebrarci. Il nostro atteggiamento deve sempre restare di supporto: aiutiamoli a rialzarsi. Quando noi chiediamo l’aiuto di un amico o di un’amica per un problema che non sappiamo come gestire, cosa desideriamo che ci dica? Dimmi come posso aiutarti. E allora, anche con i nostri figli, invece di ribadire che noi sapevamo la risposta esatta, facendo i saputelli, chiediamo come posso aiutarti ad affrontare la situazione? Magari loro non avranno idea di come possiamo dare una mano, ma noi di sicuro lo sapremo e sarà finalmente arrivato il nostro momento di proporlo.
Migliorare l’autostima dei bambini: letture consigliate
Il libro che vorresti i tuoi genitori avessero letto, di Philippa Perry
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Questo libro vi aiuterà a:
- comprendere in che modo la vostra esperienza di figlio influenza il vostro essere genitore;
- accettare il fatto di compiere anche voi degli errori e capire come rimediare;
- interrompere degli schemi di comportamento negativi che avete ereditato dal passato;
- gestire i vostri sentimenti e quelli di vostro figlio;
- capire cosa comunicate attraverso i vostri diversi comportamenti
Ricco di consigli, di esempi pratici e di spunti per «esercitarvi», questo è il libro che ogni genitore vorrebbe leggere e ogni figlio vorrebbe che i propri genitori avessero letto.
Tutto è difficile prima di diventare facile, di Luca Mazzucchelli e Giulia Telli
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Simba è un grosso e goffo cane lupo che sogna di diventare un acrobata del circo. In tanti gli dicono che non è certo adatto a quel mestiere e lui stesso se ne rende conto, perché non riesce mai a terminare gli esercizi.
E allora cosa farà? Abbandonerà il suo sogno per sempre, rassegnandosi ad essere soltanto un cane, o tenterà in ogni modo di realizzarlo?
Adatto dai 4 anni.
Perché sei speciale, di Alberto Pellai e Barbara Tamborini
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Un percorso pratico di potenziamento delle abilità emotive (le emozioni) e delle competenze per la vita (le life skills). Ansia, fiducia, rabbia, solidarietà, autostima ed empowerment: per ogni capitolo sono inserite storie, test, giochi, meditazioni e consigli per interrogarsi su di sè, imparare a conoscersi, confrontarsi con gli altri e trovare il proprio equilibrio, nella testa e nel cuore.
Adatto dagli 11 anni.
E voi come affrontate il problema dell’autostima con i vostri figli? Quali strategie mettete in campo? Vi aspettiamo nei commenti.