Se non sei mamma non puoi capire?
Pubblicato il 28 Giugno 2022 da Barbara Damiano • Ultima revisione: 28 Giugno 2022
Fin da piccola c’è sempre stata una frase che mi dava sui nervi: Ehhh non puoi capire. Ehhh dici così perché sei piccola. Quando sarà grande cambierai idea.
Faccio una premessa: io sono la paladina del cambiare idea.
Restare coerenti tutta la vita è pericoloso e inconcludente: non ci permette di evolverci.
Ma.
Perché dobbiamo avere la presunzione di conoscere qual è il bene delle altre persone, meglio di loro?
Ogni volta che un adulto pronuncia la frase “è per il tuo bene”, muore la pedagogia.
Un conto è insegnare a distinguere il bene dal male ai figli, in base al proprio set di valori.
Un conto pensare – per tutta la vita, non solo quando sono neonati e non possono decidere per se stessi – che noi conosciamo qual è l’opzione migliore per loro, il loro bene, appunto.
E torno al punto iniziale: io ho sempre saputo quali erano i miei valori e ho sempre saputo chi avrei voluto essere e soprattutto chi non avrei voluto diventare.
Questo era il punto.
Se facciamo lo sforzo di ripensarci quando eravamo bambine o bambine, di sicuro ci siamo detti: Io questa cosa non la farò mai, io non voglio diventare come quella persona, ecc
Nella vita si sbaglia, si cade, si possono commettere errori. Ma se noi sappiamo chi siamo e chi vogliamo diventare, non conta il singolo errore: conta il percorso che stiamo facendo per diventare noi stessi, per diventare quelle persone lì che da sempre volevamo essere.
Indice dell'articolo
Se non sei mamma non puoi capire?
Mi è venuta in mente questa domanda ascoltando alcuni video molto profondi di Irina di Spazio Grigio.
Ancora in gravidanza, Irina ha girato alcuni video in cui esprimeva molto chiaramente le cose che non avrebbe fatto e non avrebbe acquistato per il suo bambino.
E mi ha molto colpita la gente (poca, per la verità), che si permetteva di dirle: Ehhh poi vedrai che quando sarai madre capirai, vedrai che cambierai idea.
Mi ha molto colpita perché questa gente pensa di sapere meglio di lei quali sono i suoi valori, ma soprattutto cosa c’è dentro il suo cuore, la sua coscienza.
E mi ha colpita tanto di più detto a una persona come Irina, che manifesta un senso di auto consapevolezza enorme, molto centrato, focalizzato: è esattamente la persona che vive nel qui e ora e passa il tempo a pensare alla persona che vuole essere. Come può un estraneo saperlo meglio di lei?
Anche se non si è madre, si può capire.
Si può capire il proprio set di valori: le cose in cui crediamo a livello educativo, ad esempio. Quindi nel mio caso era portare avanti un’idea di pedagogia dolce e di attaccamento positivo.
Si può capire se stesse e se stessi e lavorare per la propria consapevolezza: la psicoterapia aiuta sempre e io continuo a dire che per chi vuole diventare genitore sarebbe molto importante. Ma il primo passo è certamente essere centrate, focalizzate, in qualche modo “risolte”, o per lo meno consce del proprio vissuto e dei propri traumi.
Si può capire il punto di vista di figlia: perché noi siamo state figlie, prima ancora di madri, e in quanto tali abbiamo acquisito un punto di vista prezioso sul rapporto genitore e figli, da una visione differente. E viceversa per i padri e i figli.
Si può capire il punto di vista da bambini: visto che ancora prima siamo stati piccoli e piccolissimi e questo è rimasto nella nostra memoria (cosciente e incosciente) ed è importantissimo recuperare la nostra storia come bambini, prima di diventare genitori.
Credo che solo due sentimenti non si possano capire fino in fondo: l’ampiezza e la totalità della cura.
Questa è una cosa che impara anche chi ha genitori anziani, non per forza bambini.
La cura di un altro essere umano dipendente in tutto e per tutto da noi è totalizzante, stancante, senza pause.
Possiamo suddividere il carico domestico e mentale, ma la fatica fisica e psicologica, la mancanza di sonno, la permanenza dell’accudimento sono momenti molto forti della vita, molto specifici.
Forse difficili da immaginare fino in fondo.
L’ansia personale e l’ansia sociale di allevare un figlio.
Dal momento in cui si cerca un figlio (mi riferisco sempre a gravidanze consapevoli), al momento in cui viene al mondo, ansia e terrore diventano compagni del viaggio.
L’ansia di fare sbagli irrecuperabili.
Ma soprattutto il terrore che succeda qualcosa di brutto al proprio figlio: la preoccupazione per le malattie, per le uscite, per le persone che potrebbe incontrare, per la sua sicurezza in generale.
Io credo che questa sia la cosa più difficile per me come madre, e che prima potevo solo ipotizzare.
Sapevo che i genitori provano questo tipo di ansia, ma non pensavo fosse qualcosa di così ancestrale, viscerale, costante.
Ci si allena a sopportare questo terrore, come un veleno assunto ogni giorno per immunizzarsi dal veleno stesso. Si impara a essere fatalisti. Ma quel pensiero oscuro rasta sempre lì nel profondo, pronto ad agguati mentali alla prima occasione.
L’ansia sociale invece, mi sento di dire: fottesega.
Negli anni ho imparato che le aspettative di questa società patriarcale, intrisa di stereotipi, non sono un mio problema, un mostro problema.
Come madri e come padri, noi non dobbiamo niente alla società: non siamo qui per corrispondere alle idee altrui, soprattutto quando non ci rappresentano. Non siamo qui per farci instillare sensi di colpa, né per partecipare a una gara.
Le pressioni esterne ci vorrebbero genitori perfetti, sempre allegri, ricchi, di bell’aspetto, religiosi.
E così i figli: calmi, silenziosi, ubbidienti, conformati.
Fanculo!
Ecco una cosa che mi sento di dirvi mille volte: molto meglio la fatica di crescere figli complicati e liberi, piuttosto che la serenità di crescere figli senza personalità, che ubbidiscono senza porsi domande.
Dell’ansia sociale non ci dovremmo preoccupare affatto, e torniamo al focus del post: nessuna persona sa meglio di noi qual è il nostro Bene, e quali sono i nostri valori. Noi non esistiamo per compiacere le altre persone, per far parte del sistema, per consumare di più.
Siamo in questo mondo per restare umani, per fare esperienze di sentimenti, per evolverci internamente.
Non ci qualificano le ore che passiamo al lavoro, o soldi che guadagniamo, le cose che possediamo.
Non ci qualificano i voti scolastici dei nostri figli, né se i neonati dormono tutta la notte.
Non ci qualifica un parto naturale o l’allattamento al seno.
Il nostro valore non dipende da quello che produciamo e consumiamo, ma dalle persone che diventiamo.
E sì, possiamo sapere già oggi, chi diventeremo: possiamo immaginarci, pensarci, concentrarci per diventarlo, senza che nessuno sminuisca i nostri sentimenti, e pensi di sapere meglio di noi cosa ci renderà felici.
Io dico sempre “non chiedetevi se state vivendo la vita che volevate vivere. Chiedetevi se siete diventati la persona che volevate essere”.
Quanto hai ragione!
Che bella questa frase, grazie!
grazie a te, sei per me fonte di grande ispirazione!