Carico mentale e organizzazione domestica: consigli per una vera parità
Pubblicato il 2 Maggio 2022 da Barbara Damiano
Da anni parliamo di carico mentale femminile legato all’organizzazione domestica e familiare, ma si è davvero fatto qualcosa per alleggerire la situazione? Non a livello istituzionale, direi, visto che – soprattutto post pandemia – le attività di cura della casa e della famiglia sono oggi ancora considerate mansioni di pertinenza femminile e il Covid-19, sotto questo profilo, ha peggiorato la situazione.
Carico mentale, cos’è?
Quando parliamo di carico mentale, non parliamo solo di tutte le attività svolte (prevalentemente dalle donne) nella cura della casa e dei figli, ma anche di tutto quel flusso di pensieri continui, ininterrotti, per far sì che casa e famiglia funzionino, che vadano avanti giorno per giorno.
Per esempio:
- ricordare ai nonni di andare a prendere i bambini a scuola quel determinato giorno
- segnarsi sulla lista della spesa che è terminato il latte, e bisogna comprarlo
- pensare a quando fare la lavatrice con le cose della ginnastica, per fare in modo che siano pronte nel giorno giusto
- mandare la lista dei regali per i bambini ad amici e parenti, per le ricorrenze
- chiamare l’assistenza di quell’elettrodomestico per la riparazione
Insomma: la sensazione di avere sempre il cervello in movimento, occupato a organizzare la vita e la giornata di tutte e tutti, in modo che ciascuno possa uscire di casa con i vestiti puliti, il pranzo nel suo cestino e i compiti fatti.
Vi ci ritrovate un pochino dentro? Quali sono le vostre esperienze?
A tutto questo, si unisce poi il lavoro sul campo, ovvero la maggior parte delle donne non ha solo il cervello occupato con tutte queste faccende, ma deve pure sbrigarle da sola.
Indice dell'articolo
Organizzazione e cura della casa e della famiglia: i numeri ufficiali
Le disparità di genere relative all’organizzazione e gestione familiare non sono emerse con la pandemia. Già prima del Covid erano estremamente evidenti e risultavano in maniera obiettiva da innumerevoli ricerche condotte da vari Osservatori sulla parità di genere.
L’ultima edizione dell’indagine dell’Istat sull’uso del tempo ci dice che sin da bambine, le donne svolgono più lavoro familiare e hanno meno tempo libero dei coetanei.
La differenza inizia a manifestarsi già tra gli 11 e i 14 anni e aumenta sensibilmente al crescere dell’età.
Già nei tempi giornalieri di bambini e ragazzi emergono differenze di genere su lavoro familiare e disponibilità di tempo libero che si acuiscono all’aumentare dell’età.
Il lavoro familiare, infatti, mediamente coinvolge le femmine per 30’ in più dei maschi: a partire dalla sostanziale parità tra i bambini fino a 10 anni, che vi dedicano solo 20’ a prescindere dal genere, la differenza inizia ad evidenziarsi tra gli 11 e i 14 anni (+13’ per le femmine), fino a raggiungere i 59’ in più tra i 15 e i 24 anni.
In quest’ultima fascia d’età solo il 44,2% dei giovani maschi spende almeno 10’ per svolgere qualche attività di lavoro familiare, contro il 72,3% delle femmine.
Questa differenza incide negativamente sul tempo libero delle ragazze, che hanno 36’ in meno rispetto ai maschi, con una distanza che aumenta al crescere dell’età, fino ad arrivare a 53’ in meno tra le donne di 15-24 anni.
Con il passaggio all’età adulta crescono i tempi di lavoro e le differenze di genere.
Nell’età adulta le differenze di genere si accentuano sensibilmente: il lavoro retribuito occupa infatti, il 19,4% del giorno medio degli uomini (4h39’) contro il 9,9% di quello delle donne (2h23’).
D’altro canto il lavoro familiare (domestico e di cura) rappresenta il 21,7% della giornata media delle donne (5h13’), contro il 7,6% di quella degli uomini (1h50’). Causa di tale asimmetrica gestione del tempo è il diverso tasso di occupazione pari, nel 2014, al 69,7% per gli uomini contro il 50,3% per le donne.
L’avvento della Pandemia di Covid-19 ha sensibilmente influito su questa situazione, già molto pressante sul genere femminile, sotto molteplici punti di vista.
Intanto, ha aumentato il divario occupazionale, già importante in precedenza, aumentando l’inattività lavorativa. Secondo i dati ISTAT, infatti, a dicembre del 2020 il 45,9% delle donne italiane in età da lavoro, non aveva un’occupazione – per averla persa a causa del covid o per non averla avuta neppure in precedenza – e non la stava neppure cercando per potersi dedicare alle attività di cura della casa e della famiglia.
LEGGI IL RAPPORTO ISTAT: Occupati e disoccupati dicembre 2020
La pandemia ha peggiorato la situazione: il 65% delle donne italiane ha aumentato le ore dedicate al lavoro domestico, passando da una media di 2 ore e 50 minuti ad una media di 3 al giorno, contro appena il 40% degli uomini che ha modificato la propria partecipazione al ménage familiare passando da 1,26 ore giornaliere a 1,57.
Donne e indipendenza economica: una realtà ancora da costruire
Prendiamo come fonte il rapporto pubblicato da ISTAT, in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Inps, Inail e Anpal, dal titolo: Il mercato del lavoro 2020.
Dal documento, emergono 5 elementi che riguardano l’occupazione femminile post Covid:
- la percentuale di donne che ha perso il lavoro nel 2020 è stata doppia rispetto a quella degli uomini: stiamo parlando di 312mila donne
- il divario occupazionale di genere che è aumentato durante il lockdown, non tende a diminuire adesso
- le donne risultano più penalizzate anche nelle nuove assunzioni
- le donne sono la categoria ad aver registrato il minore numero di reingressi nel mercato del lavoro
- per le lavoratrici che sono riuscite a trovare lavoro è stata più dura riuscirci, ovvero impiegano circa 100 giorni per trovare un nuovo lavoro
La strada verso l’indipendenza economica femminile appare, quindi, ancora tutta da costruire.
In Italia, solo il 50% delle donne lavora (contro il 70% circa degli uomini). Questo significa che una donna su due, benché in età lavorativa, è disoccupata, o non cerca più lavoro. Soprattutto nelle zone del meridione e delle isole, e soprattutto quando ha figli.
Questo dato è importante, perché indica chiaramente che ancora nel 2022 fare la mamma, occuparsi della casa, della famiglia e della gestione delle attività di cura e assistenza è considerato un lavoro a tempo pieno da una buona metà delle donne italiane. Ma è un lavoro a tutti gli effetti non retribuito.
Mentre è proprio l’indipendenza economica a rappresentare il vero obiettivo, ovvero la conquista di una reale parità di genere.
LEGGI ANCHE: Protezione finanziaria: perché è importante per le donne?
Possedere un lavoro regolare al di fuori del contesto familiare, adeguatamente ed equamente retribuito, è indispensabile sotto molteplici punti di vista:
- per la realizzazione personale. E non intendiamo affermare che una donna che non lavora non possa sentirsi appagata in famiglia. Intendiamo dire che una donna ha diritto di sentirsi pienamente realizzata, come cittadina e membro della società, oltre che come moglie e madre, con una occupazione che le consente di dare il proprio contributo al progresso e alla crescita della collettività, oltre che a quello del proprio nucleo familiare;
- per avere cura di se stessa e della propria vita futura, anche al di fuori della famiglia. Le relazioni sentimentali purtroppo a volte si interrompono e sono sempre le donne a pagare il conto più caro di un matrimonio finito. Le donne che hanno accantonato la carriera per dedicarsi solo alla famiglia, le donne che hanno rinunciato al lavoro per poter essere a disposizione dei figli, in una parola, le donne che ogni anno ISTAT fotografa come inattive pur essendo in età abile al lavoro.
- per far fronte alla prospettiva di premorienza del coniuge. In Italia l’aspettativa di vita di una donna è di 84,9 anni, quella di un uomo è di 80,3, con un divario di circa quattro anni e mezzo (fonte: La vita delle donne e degli uomini in Europa, ritratto statistico del 2017). Statisticamente, dunque, ogni donna sposata che non ha un’occupazione propria e dipende economicamente dal marito sarà costretta ad affrontare sacrifici importanti per far fronte alla propria sopravvivenza al coniuge. La situazione si complica, soprattutto nel mezzogiorno e nelle isole dove maggiore è l’incidenza delle donne sposate con figli e non occupate, quando la morte del coniuge avvenga in giovane età per incidenti stradali o sul lavoro, e nel nucleo familiare siano presenti uno o più figli piccoli da allevare.
- per avere i mezzi di sostentamento necessari a potersi allontanare da situazioni sentimentali tossiche o pericolose per sé e per i figli. Una delle motivazioni che più frequentemente induce le donne vittime di violenze familiari a tergiversare e rimandare la richiesta di aiuto o la denuncia degli episodi violenti è proprio la mancanza di un’indipendenza economica che garantisca a lei e ai suoi figli di sopravvivere dopo l’allontanamento dal partner. Possedere un reddito è fondamentale per vigilare sulla propria sicurezza e su quella di figli e figlie, nonché per poter fuggire immediatamente da situazioni che li minaccino in modo serio. Infatti lo Stato Italiano riconosce alle donne vittime di violenza un reddito minimo definito “reddito di libertà”. Ma non basta: dobbiamo essere padrone della nostra vita, nonché del reddito necessario a salvaguardarla.
LEGGI ANCHE: Reddito di libertà, cos’è è come funziona
Stereotipi di genere e pressione sociale: cosa sono e come eliminarli dalle nostre vite
Per definire il concetto di stereotipo di genere, ricapitoliamo i dati che abbiamo presentato, sulla situazione delle donne in Italia. Le donne:
- lavorano in percentuale di gran lunga inferiore agli uomini
- sono pagate molto meno degli uomini, anche a parità di prestazione lavorativa
- si occupano giornalmente da sole dei lavori domestici e della cura dei figli (nell’80% dei casi)
Questi dati fotografano lo stereotipo di genere per eccellenza: quello secondo cui le attività legate all’organizzazione e gestione familiare spettino alla donna in quanto naturalmente portata alle attività di cura e assistenza.
Più genericamente, quindi, possiamo dire che uno stereotipo di genere è un assioma, una convinzione priva di argomentazioni scientifiche che attribuisce alla sola appartenenza ad un genere il possesso di determinate caratteristiche, abilità o inclinazioni, doveri e responsabilità.
Gli stereotipi di genere sono sempre sbagliati, ma diventano addirittura pericolosi quando si trasformano in norme sociali, ovvero in credenze culturalmente condivise che mirano a orientare i comportamenti delle persone che fanno parte della comunità.
Ecco, quindi, che lo stereotipo “le attività di cura della casa e della famiglia riescono meglio alle donne” si trasforma nella norma sociale per cui sono le donne a dover quadrare i cerchi di lavoro e famiglia: rinunciando alla carriera, chiedendo riduzioni dell’orario di lavoro, riducendo drasticamente la loro indipendenza economica quando non eliminandola del tutto a favore del marito “che porta i soldi a casa”.
Ancora, ci si aspetta che siano le donne a mettersi in permesso lavorativo per partecipare all’ambientamento dei figli e delle figlie piccole all’asilo. Così come si dà per scontato che siano sempre le donne a prendere ferie e permessi quando i bambini e le bambine si ammalano e non possono andare a scuola.
La pandemia di Covid-19 ce lo ha dimostrato: lavorativamente parlando, chi ha pagato il prezzo più alto sono state le donne.
Allora, se così è, forse non è sbagliato pensare che l’enorme divario occupazionale tra uomini e donne sia in parte dovuto anche alla pressione sociale fortissima che le donne ancora subiscono e che le indurrebbe a comportarsi in un determinato modo, e prendere determinate decisioni in campo lavorativo, perché così ci si aspetta che agiscano per la sola appartenenza al loro genere.
Le donne, tendono a chiedere il part-time per esigenze familiari tre volte più degli uomini.
Il primo passo che dobbiamo fare, se vogliamo davvero che la parità di genere diventi una realtà per le nostre figlie e per i nostri figli, è abbattere gli stereotipi, smontare le convinzioni che vogliono imprigionare le persone in base al proprio genere.
Perché ciascuna persona, indipendentemente dal genere, ha diritto di auto determinarsi, di essere felice e di fare la vita che desidera.
Dobbiamo educare i nostri figli e le nostre figlie a sapere che non esistono giochi da maschi e da femmine e nemmeno lavori da maschi e da femmine, ma semplicemente attività più inclini ad una persona o ad un’altra, senza alcun riferimento al genere.
Si tratta di un progetto educativo senza precedenti che non possiamo permetterci di fallire e che dobbiamo iniziare a partire dalle mura delle nostre case, con i nostri figli e le nostre figlie.
LEGGI ANCHE: Cosa sono gli stereotipi di genere
Il carico mentale domestico e la doppia giornata lavorativa delle donne italiane
Il risvolto pratico degli stereotipi e della pressione sociale di cui abbiamo parlato è il carico mentale domestico che deriva alle donne che vivono in coppia.
La prima persona a parlare di carico mentale domestico fu la sociologa francese Monique Haicault, che nel 1984 pubblicò un articolo intitolato “La gestion ordinaire de la vie en deux”, ovvero La gestione ordinaria della vita di coppia.
Nell’articolo, Haicault descrisse il fenomeno di cui parliamo affermando che ogni donna lavoratrice che sia parte di una coppia sente gravare soltanto su di sé la responsabilità delle faccende domestiche. Questo determina l’esistenza di un carico cognitivo importante, che è alla base del fenomeno conosciuto come “doppia giornata lavorativa” delle donne.
Abbiamo visto che in Italia le donne svolgono 3 ore di lavoro non retribuito di assistenza e cura al giorno, che andandosi a sommare alle ore di lavoro retribuito fanno di loro le persone più oberate di lavoro in assoluto e anche quelle che, per conciliare lavoro e impegni familiari, rinunciano più frequentemente ai propri interessi personali o ad avere cura di sé.
L’aspetto più subdolo di questa situazione è rappresentato da un risvolto molto meno evidente del lavoro pratico che però mina frequentemente l’equilibrio delle donne che ne risentono: parliamo del cosiddetto “thinking about baby”.
Si tratta del fenomeno di carico psicologico che deriva dall’essere, all’interno della coppia, la persona che detiene la responsabilità mentale dell’organizzazione della famiglia.
Questo fenomeno fu descritto per la prima volta dalla sociologa americana Susan Walzer in un articolo intitolato, appunto, Thinking about the baby, nel quale Walzer sottolineò le due componenti fondamentali del carico mentale:
- Lo scarto di genere nella suddivisione delle faccende domestiche
- L’esistenza di una parte enorme di lavoro domestico del tutto invisibile, data dall’insieme di tutte le responsabilità che occupano costantemente il pensiero e che la donna avverte come proprie.
La principale ricaduta di ciò, in termini pratici, è il blocco della partecipazione femminile al mercato del lavoro.
L’effetto che più sovente viene prodotto dal carico mentale, invece, è il cosiddetto “Burnout”, un sindrome da eccessivo stress che determina uno sfinimento fisico e mentale con ripercussioni in ogni ambito della vita personale.
Ma come si può gestire il carico mentale per disincentivare la castrazione lavorativa femminile ed evitare di ammalarsi?
La cura della casa, dei figli e degli anziani della famiglia non è un “lavoro da donne”, a meno che non sia retribuito regolarmente come tale. Di questo, lo Stato sta iniziando a prendere atto.
Noi, invece, lo stiamo facendo? Cosa dobbiamo fare per eliminare il carico mentale dalle nostre vite?
Carico mentale: consigli utili per gestirlo in modo bilanciato
Ridurre il carico mentale femminile e bilanciarlo all’interno della coppia o del nucleo familiare è possibile. Bisogna però fare chiarezza su alcuni concetti e imparare a mettere in pratica alcune piccole azioni quotidiane.
Aiuto, delega e divisione dei compiti: quali differenze?
Per molte donne il primo passo da compiere per alleggerire la pressione è capire che aiuto, delega e divisione dei compiti non sono la stessa cosa.
Può sembrare banale a dirsi, ma la cultura del marito “bravo perché aiuta in casa” è ancora molto diffusa e, ben lungi dall’essere di aiuto, contribuisce invece a rafforzare il concetto che la responsabilità principale sia femminile e che ove l’uomo collabori svolgendo qualche incarico, sia tutto sommato bravo perché – appunto – fornisce aiuto.
L’aiuto, in casa, può al più essere di tipo esterno al nucleo familiare.
Nostra madre che si offre di stirare al posto nostro, che accompagna o prende i bambini a scuola, che ci fa la spesa mentre siamo al lavoro, ci sta effettivamente aiutando. Perché sta svolgendo attività che non rientrano nella sua sfera di responsabilità e lo fa per puro spirito di liberalità. Non è tenuta a farlo, ma vuole bene a noi, vuole bene ai suoi nipotini e nipotine, sa che siamo impegnate e quindi si offre di svolgere qualche incarico al posto nostro.
Parliamo di delega – in questo caso professionale, perché retribuita – quando trasferiamo in capo a qualcun altro la responsabilità di eseguire alcuni compiti specifici, per esempio: la persona che una o due volte alla settimana fa le pulizie in casa nostra, la dogsitter che ci porta a spasso il cane, la baby-sitter che intrattiene i bambini e le bambine dopo l’orario scolastico portandole al parco o aiutando a fare i compiti.
La suddivisione dei compiti all’interno della coppia o del nucleo familiare è cosa ben diversa.
Si traduce nel sedersi a tavolino con il proprio partner e i propri figli e figlie e fare in modo che ciascuno di loro prenda atto che la casa è una piccola comunità che funziona soltanto se ognuno svolge il proprio compito, proprio come accade per una città o una nazione.
Se una persona svolge i suoi compiti non è brava “perché aiuta”: sta facendo il suo dovere.
LEGGI ANCHE: Organizzare le pulizie di casa con la collaborazione di tutta la famiglia
Come suddividere il carico mentale: consigli pratici
Come si fa a passare dall’aiuto in casa, alla condivisione dei compiti?
Diciamo che teoricamente non sarebbe compito delle donne ‘educare’ i mariti e i compagni a suddividere il carico mentale e organizzativo della casa e della famiglia, ma se ci troviamo in una situazione di stallo, possiamo organizzarci in questo modo:
- Dividiamo i compiti: chi pensa a cosa? È arrivato il momento di sedersi intorno al tavolo e decidere quali incombenze spettino a ciascuna persona in famiglia.
Facciamo un elenco di tutte le attività che mandano avanti la nostra casa e lasciamo che ognuna scelga quella che preferisce svolgere: alcune persone odiano stirare, altre si rilassano facendolo. Alcune persone hanno la fobia dei germi e per loro lavare il bagno sarebbe un incubo mentre sono particolarmente portate per il riordino degli ambienti. Sfruttare le inclinazioni personali è la strategia vincente.
Appendiamo il foglio sul frigorifero e da quel momento, ognuno diventa responsabile per le sue attività, senza che glielo dobbiamo ricordare. - Responsabilizziamo figlie e figli. Facciamo in modo che ricevano compiti adeguati alla loro età e preferenza e che capiscano che dovranno impegnarsi ad eseguirli ogni giorno. Responsabilizziamoli poi sul prendersi cura delle proprie cose (giocattoli, libri, vestiti) e della propria cameretta. Da quel momento ne sono pienamente responsabili e noi non correremo a mettere a posto la stanza, in nessun caso.
- Impostiamo un metodo. Ad ogni componente della famiglia deve essere chiaro che ogni attività ha un inizio, uno svolgimento e una fine. Per esempio: chi cucina dovrà preoccuparsi di stilare i menù, compilare la lista della spesa, fare la spesa, assicurarsi che gli ingredienti vengano scongelati in tempo utile per la preparazione dei pasti, ma anche rispettare il lavoro di chi viene dopo, per evitare che chi rassetta la cucina si trovi a dover lavare 10 pentole a pasto, e pulire da cima a fondo tutta la cucina.
- Prendiamoci del tempo insieme per osservare i progressi: manteniamo un dialogo sereno e aperto e confrontiamoci alla fine della prima settimana, poi dopo un mese, e così via. Se aumentano gli incarichi, sediamoci nuovamente al tavolo con il nostro foglio, e sistemiamolo.
LEGGI ANCHE: Come essere produttivi e organizzati risparmiando tempo
Impariamo a semplificare i lavori di casa!
Negli ultimi mesi vi ho parlato spesso della mia nuova collaborazione con Dreame e della mia esperienza con i loro prodotti che semplificano i lavori di casa.
Continuo a consigliarveli e sono molto grata di poter continuare ad averli come sponsor di Mammafelice: mi hanno svoltato le pulizie in Casa Mammafelice (ovvero in ufficio), e per me questo è stato un lusso, sì, perché ho potuto essere autonoma nella cura dell’ufficio/casa (ovviamente autonoma insieme a mio marito, eh!), senza dover investire una somma mensile nel contattare una ditta esterna che ci aiutasse.
Può sembrare eccessivo? Lo sapete che sono onesta: ero molto preoccupata di dover gestire la cura di Casa Mammafelice, nelle mie condizioni di salute (malattie autoimmuni che mi provocano dolore cronico continuo: è una condizione incurabile, molto dolorosa, che per certi versi non mi rende più ‘abile’ nel senso stretto della parola).
E mi piace parlarne proprio in un articolo dedicato al carico mentale, perché questo per me, oltre a rappresentare un carico fisico, era anche una preoccupazione concreta che mi occupava la mente in un modo ‘non sano’.
Inizialmente ho fatto venire mia mamma a darci una mano, ma per me è stato improponibile, fisicamente, concentrare le pulizie in un solo giorno: l’indomani non riuscivo più a camminare. Poi ho ricevuto i prodotti Dreame per la nostra collaborazione e – boh, che vi devo dire? – ho trovato tutto estremamente facile e gestibile. Persino avendo un cane sempre con noi, Fragola.
Ora in Casa Mammafelice funziona così: al bisogno, io pulisco le superfici (scrivanie, tavoli, librerie), il bagno e il lavabo della cucina (non abbiamo una cucina standard, ma per i pranzi in ufficio uso la slow cooker o il fornetto, quindi bassissima manutenzione). Nestore si occupa tutti i giorni della lavastoviglie e al bisogno passa l’aspirapolvere e poi la lavapavimenti. Carico mentale e fisico diviso, ufficio pulito, zero fatica.
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La vera alternativa economica al Dyson, lo ripeto senza problemi: potentissimo, con 3 livelli di velocità, pulisce in profondità eliminando polvere, peli di animali e particelle.
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È infatti munito di 9 diversi accessori e spazzole, progettate per tutte le esigenze di pulizia: anche per chi ha animali domestici o, come me, soffre pure di allergie alla polvere e ai pollini.
Leggerissimo! Per me che, come sapete, ho problemi di salute, poter imbracciare l’aspirapolvere senza farmi male è molto importante.
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Dreame H11 Max
Per me letteralmente il prodotto life changing, ovvero che ti cambia la vita. In casa nostra lavare i pavimenti con lo straccio o il mocio era un supplizio: estremamente faticoso, zero soddisfazione finale. Il pavimento sembrava sempre sporco, anche strofinando con tutta la forza. Oltre al fatto che c’era continuamente il rischio di avere mocio e straccio sempre con quella puzza di ‘freschino’ terrificante.
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Adesso zero fatica: a me sembra una magia poter aspirare il pavimento e lavarlo con un solo passaggio, e senza nessun tipo di sforzo. Tra l’altro, se vogliamo essere ecologisti fino in fondo, il pavimento viene pulito anche con la sola acqua, senza aggiungere per forza detergenti.
Se volete farvi un regalo per la casa, ecco, questo vi prometto che ne vale la pena.
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Se, a differenza mia, avete una casa minimalista, abbastanza ordinata, il robot aspirapolvere lavapavimenti automatico, è veramente perfetto. Fa tutto da solo: vi basta alzare le sedie sul tavolo e liberare le superfici calpestabili, e lui aspira e lava, e poi va da solo a posizionarsi nella sua base di ricarica, dove si auto pulisce.
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Penso sia molto adatto a chi ha una casa in cui sono gestiti bene gli spazi, piccola o grande che sia: perfetto se lavorate da casa e quindi siete lì nei paraggi, anche se sa lavorare perfettamente in vostra assenza.
Infine lo trovo super elegante: anche in bella vista, non è affatto male.
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Pressione sociale: come eliminarla dalla nostra vita
Cosa importante: c’è un lavoro profondo che noi donne dobbiamo fare su noi stesse.
Essere sempre più consapevoli che su di noi e sui nostri ruoli (madre, compagna, moglie, figlia, lavoratrice…) c’è una forte pressione sociale.
Pressione sociale, ovvero ciò che ‘la società’ vorrebbe da noi, il modo in cui CI GIUDICA e ci fa sentire in colpa, se non abbiamo un determinato ‘standard’.
Qualche esempio: essere sempre in ordine, truccate e seducenti; essere sempre sul pezzo, senza perdere colpi; essere sempre serene, pazienti e sorridenti, perché il carico emotivo della famiglia grava su di noi e siamo noi a dover mantenere la pace familiare; accudire i figli al meglio, allattandoli a oltranza, preparando pasti sani e portandoli a destra e sinistra tutto il giorno.
Domandiamoci sempre: chi ci guadagna a far sentire in colpa le donne, nei loro ruoli?
La risposta è semplice: il marketing, il patriarcato, le persone che vogliono le donne sempre un passo indietro, più occupate a farsi la ceretta, che a fare carriera (o realizzarsi in altri modi).
Smettiamola di voler essere PERFETTE, IRREPRENSIBILI. Smettiamola soprattutto di competere tra di noi!
Perché non è affatto vero che le donne non sanno fare Rete.
Di nuovo, chiediamoci: chi ci guadagna mettendoci le une contro le altre, facendo in modo che il nostro tempo venga impiegato nel farci la guerra, invece che nel crescere insieme?
Ecco come possiamo lavorare su questa consapevolezza:
- Impariamo a delegare. Si fa presto a dire delega, ma la verità è che molte di noi fanno veramente fatica ad accettare l’idea che ci siano attività connesse all’organizzazione familiare che possono essere svolte altrettanto efficacemente da qualcun altro. Invece, dobbiamo imparare a delegare le nostre responsabilità, sul lavoro come in famiglia. Non possiamo fare tutto e non possiamo controllare tutto, facciamocene finalmente una ragione. Delegare non significa solo assegnare alle altre persone un compito, ma significa anche demandarlo completamente, quindi noi non ce ne occupiamo più e non controlliamo nemmeno l’esito. Pronte a farlo?
- Ridimensioniamo le nostre pretese. Avete mai sentito il proverbio “fatto è meglio che perfetto?” Significa che talvolta è sufficiente fare in modo che le cose siano fatte senza pretendere necessariamente la perfezione. Se fino a ieri abbiamo permesso che i nostri partner e i nostri figli e figlie oziassero beatamente mentre eravamo noi a far tutto, concediamo loro il tempo di imparare come si fanno le cose prima di decidere che non saranno mai in grado di svolgere bene i loro compiti. Spoiler: sapranno benissimo cavarsela senza di noi!
- Accettiamo i nostri limiti. Parte del cambiamento necessario a diluire il carico mentale è accettare che come esseri umani abbiamo anche dei limiti. Non essere in grado di fare tutto alla perfezione è assolutamente normale. Essere troppo stanche per svolgere un determinato compito è normale. Non dobbiamo dimostrare niente a nessuno: il nostro valore non si misura in quanto ci ammazziamo di lavoro, in casa e fuori casa.
- Ricaviamo ogni giorno del tempo per noi. Prendiamolo come un compito domestico a tutti gli effetti. La cura delle persone di famiglia è un compito? Bene, noi siamo una persona della famiglia, dobbiamo avere anche cura di noi. A seconda dei nostri impegni, lavorativi e non, assicuriamoci di trovare ogni giorno almeno 30 minuti per fare qualcosa che ci faccia stare bene. Non si transige.
- Riordiniamo la mente. Con la stessa risolutezza con cui giriamo per casa declutterando il mondo, facciamo un repulisti anche nella nostra testa. Eliminiamo informazioni inutili, trascriviamo su un’agenda date, impegni e appuntamenti da ricordare, segniamo su un calendario in bella vista i turni settimanali di sport / catechismo / chitarra / qualsiasi impegno di figli, figlie e partner, così che ciascuno di loro possa prendere visione dei propri impegni senza contare sul fatto che ce ne ricorderemo noi. Impariamo a trattare la nostra mente come tratteremmo una borsa molto costosa: selezionando con cura cosa ci mettiamo dentro.
- Fissiamo limiti al lavoro. Imparare a mettere limiti orari al lavoro è fondamentale per riuscire ad ottimizzare le energie mentali. Sarebbe opportuno evitare di portarsi il lavoro a casa, a meno che la nostra posizione non lo richieda espressamente, evitando di rispondere anche a telefonate di lavoro, salvo emergenze. Per chi lavora da casa è fondamentale fissare limiti orari rigidi: l’homeworking è molto comodo, ma presenta il grosso rischio di confondere vita professionale e privata senza limiti. Questo non deve accadere.
Libri sul carico mentale
Per chi volesse approfondire la tematica della gestione del carico mentale con letture specifiche, segnaliamo il libro Bastava chiedere, 10 storie di femminismo quotidiano.
Si tratta di un fumetto ironico ma estremamente realistico, in grado di farci maturare consapevolezza su quanto rassegnate siamo a situazioni di solitudine domestica che spesso non notiamo nemmeno più. Un libro molto consigliato agli uomini, perché imparino a mettersi nei nostri panni e guardare le cose dalla nostra angolazione.
Bastava chiedere, 10 storie di femminismo quotidiano
Emma, classe 1981, è una blogger, fumettista, e ingegnera informatica francese. Sul suo blog appaiono nel 2016 questi dieci fumetti: “dieci storie di femminismo quotidiano”, in seguito pubblicate da Laterza.
LINK DI AFFILIAZIONE AD AMAZON: Emma, Bastava chiedere
Conosci la scena: sei tornata dal lavoro, hai fatto la spesa, stai preparando la cena e nel frattempo pensi a quando pagare l’affitto / chiamare l’idraulico / prendere la pillola / finire quella mail di lavoro / controllare che i tuoi figli abbiano fatto i compiti / caricare la lavatrice.
Tutto questo mentre il tuo compagno ti chiede se per caso sai dove sono finite le sue scarpe.
Hai mai pensato a quante volte il tuo partner ti ha risposto «bastava chiedere», come se tu fossi l’addetta all’organizzazione della casa?
Hai mai riflettuto sul delicato equilibrio che cerchi di mantenere rispondendo a un commento inopportuno per evitare di essere definita “isterica”? Ti è mai venuto in mente che non va bene sentirti costantemente responsabile del benessere emotivo o sessuale del tuo partner?
Hai mai riflettuto su quanto sia ingiusto che il tuo congedo di maternità sia chiamato da qualche collega “una vacanza”?
Se non ci hai mai pensato, scoprirai queste porzioni della tua stessa vita nelle pagine di Emma.
E se ancora non sei femminista, scoprirai di esserlo.