Come spiegare la disabilità ai bambini
Pubblicato il 25 Gennaio 2022 da Chiara Mainini • Ultima revisione: 3 Marzo 2022
Spiegare la disabilità ai bambini nel modo corretto è molto importante per contribuire a diffondere una cultura dell’integrazione delle persone con disabilità che abbatta, finalmente, anche le ultime barriere “sociali” ancora presenti a determinarne isolamento ed esclusione.
La prima di queste barriere è certamente la mancanza di una vera e corretta comunicazione a riguardo.
Sebbene si viva ormai nel 2021, si assiste spesso all’imbarazzo di molti adulti quando un bambino non abituato a frequentare persone con disabilità si trova, improvvisamente, a relazionarsi con esse, ponendo domande estremamente dirette e precise.
Domande che, molte volte, vengono liquidate dai genitori con spiegazioni frettolose che mirano a glissare e cambiare argomento, per evitare soprattutto che i propri figli ne pongano di ulteriori ai diretti interessati.
Va detto, in primis, che censurare le domande di un bambino sulla disabilità come imbarazzanti, fuori luogo, o addirittura – come spesso capita di sentire – “maleducate” è estremamente sbagliato. I bambini non nascono con una conoscenza precostituita su questi argomenti, hanno diritto a fare domande su ciò che non conoscono e non c’è niente di male se le pongono ai loro coetanei disabili o ai loro genitori.
Non solo è assolutamente normale ma è addirittura indispensabile per la costruzione di una relazione sociale davvero accogliente e inclusiva. I bambini con disabilità e le loro famiglie non vogliono essere trattati come persone diverse, alle quali accostarsi con una sensibilità eccessiva.
La disabilità non è una sfortuna o una condizione di cui avere pietà e commiserazione, pertanto non c’è alcuna ragione di etichettare come maleducate le domande sul tema, così come nessuno di noi si sognerebbe di ritenere inopportune le domande di un bambino circa gli altri aspetti della nostra vita.
La disabilità è un fatto oggettivo, esiste, fa parte della vita delle persone e come tale va presentata e spiegata ai bambini perché capiscano che non c’è niente di anormale o spaventoso in un compagno che non vede, che non sente o che non può correre sulle sue gambe.
Spiegare questi concetti in modo chiaro, perché siano non solo compresi ma anche assimilati dai nostri figli come criterio che orienti le loro azioni, è per ogni genitore un compito che rientra a tutti gli effetti nel dovere legale e morale di educazione.
Siamo responsabili dei bambini che stiamo crescendo e degli adulti che diventeranno. È nostro impegno fornire loro gli strumenti giusti per diventare membri di una società migliore di quella che abbiamo costruito per loro.
Se esiste una sola possibilità che possano fare qualcosa per migliorarla, questa possibilità passa attraverso l’educazione a riconoscere il bisogno fondamentale di ogni individuo ad essere considerato e trattato come una persona, centro di diritti e di dignità, indipendentemente dalle proprie caratteristiche fisiche ed intellettive.
Dipende esclusivamente da noi e da quanto siamo capaci di trasmettere con il nostro insegnamento ed il nostro esempio.
Diventa quindi fondamentale domandarsi: qual è il modo corretto per spiegare ai bambini la disabilità? Esistono strategie, segreti, consigli mirati da mettere in pratica per affrontare questo argomento con i nostri figli?
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Indice dell'articolo
Consigli e strategie per spiegare la disabilità ai bambini
Spiegare la disabilità ai bambini è meno difficile di quanto possiamo pensare: se noi conosciamo le parole giuste e frequentiamo regolarmente persone con disabilità, non avremo problemi a parlarne, né imbarazzi!
Esiste, dunque, un modo giusto di porsi dinanzi alla loro curiosità. Di seguito cercheremo di fornire alcuni consigli che possano aiutarvi a capire come approcciare l’argomento con i vostri bambini.
Spiegare la disabilità ai bambini: l’approccio corretto
L’approccio più corretto a questo tema è instaurare una corretta comunicazione che tenga conto dell’età del bambino a cui vi rivolgete, del contesto sociale in cui vive e, in particolare, della presenza o meno di bambini con disabilità nella comunità infantile e nel contesto sociale che il bambino vive.
È fondamentale che i bambini capiscano che le persone che hanno una qualsiasi forma di disabilità, fisica, sensoriale o psichica, è un’evenienza della vita della quale è normalissimo parlare e sulla quale è altrettanto normale porsi delle domande. Pertanto, è assolutamente sconsigliabile reagire alle domande dei bambini con frasi come “non fare domande maleducate” o “non si chiedono queste cose”.
Così facendo, infatti, si alimenterebbe il pregiudizio sociale per cui è meglio che della disabilità non si parli mai, soprattutto con le persone disabili stesse.
Al contrario, sforziamoci di assecondare le domande dei nostri figli, che sono sempre il miglior punto di partenza per qualsiasi spiegazione, e se notiamo che al parco, al ristorante, in piscina, si avvicinano a un bambino con disabilità e gli pongono domande non rimproveriamoli mai e, anzi, avviciniamoci a loro con garbo e restiamo ad ascoltare: potremmo imparare qualcosa di nuovo anche noi, in fondo.
Inoltre, quando ci troviamo di fronte ad un bambino con disabilità, parliamo direttamente con lui anche qualora siano presenti i suoi genitori. È molto importante che i nostri figli capiscano che non c’è alcuna ragione di fare conversazione per interposta persona e che i legami di amicizia si stringono tutti nello stesso modo a prescindere dalle condizioni fisiche di ciascuno: parlandosi e conoscendosi reciprocamente!
Il linguaggio da utilizzare
Quando parliamo con i bambini, le parole che scegliamo sono importanti perché racchiudono tutta la differenza tra la diffusione di un pregiudizio e la sua definitiva eliminazione.
Molte volte, per chiarezza, per semplicità, per comodità di espressione si tende ad etichettare la disabilità come una malattia, senza pensare che questo genera in chi ci ascolta la convinzione che una persona con disabilità sia, dunque, una persona non in salute, fragile, in qualche modo diversa da noi. Se chi ci ascolta è un bambino che nulla sa, ad esempio, della cecità o della sordità, potrebbe facilmente alimentarsi anche il sospetto che quella “malattia” di cui gli abbiamo parlato possa essere contagiosa.
La disabilità non è una malattia, anche qualora ne sia una conseguenza o si presenti in concomitanza con essa. Pertanto, è molto importante evitare accuratamente di alimentare nei bambini l’opinione che il disabile sia una persona malata.
Allo stesso modo è essenziale insegnare ai bambini e alle bambine a usare sempre un linguaggio adeguato: mai usare parole desuete e offensive, che non citeremo nemmeno.
Inoltre, quando si parla del giusto linguaggio da utilizzare per spiegare la disabilità ai bambini, deve aversi riguardo non solo alle parole negative in quanto brutte o offensive, ma anche a quelle negative perché eccessivamente compassionevoli o pietose in maniera immotivata.
Le persone con disabilità vengono spesso descritte come persone “speciali” o “straordinarie” non per qualità personali effettive o meriti ammirevoli, ma solo in virtù della propria disabilità.
È estremamente sbagliato insegnare ai bambini che esistano persone straordinarie in quanto disabili: per la semplice ragione che la disabilità non è una qualità virtuosa né un merito.
La disabilità è un fatto. Alcuni bambini nascono con gli occhi azzurri, altri nascono biondi, altri ancora nascono ciechi o con la sindrome di Pierre Robin.
Vi sognereste mai di dire ai vostri figli che la compagna bionda con gli occhi verdi è una persona straordinaria perché è bionda con gli occhi verdi?
I contenuti da diffondere
Premesso quanto sopra circa il giusto approccio e il linguaggio corretto da utilizzare, arriviamo ora al nucleo centrale di questo nostro approfondimento: Cosa dire concretamente per spiegare la disabilità ai bambini?
Possiamo sintetizzare alcuni concetti chiave che sono di importanza basilare se affrontiamo questo tema con i nostri figli:
- I bambini con disabilità sono come tutti gli altri. Mangiano e dormono, hanno bisogno di uscire a prendere aria fresca proprio come tutti, guardano la tv e amano gli stessi cartoni animati amati dagli altri bambini. Anche loro amano vestirsi con i loro colori preferiti, odiano la matematica o la storia e preferiscono giocare piuttosto che fare i compiti. Pensate sia un ragionamento scontato? È perché siete adulti. Ma sappiate che, generalmente, di fronte a un compagno con disabilità , la prima domanda che si pone un bambino é proprio “sarà un bambino come me? Gli piacerà fare le stesse cose?“. È importante capiscano che la disabilità è solo UNA differenza rispetto agli altri: non rende le persone diverse.
- Nonostante ciò, è pur vero che noi esseri umani siamo tutti differenti gli uni dagli altri, con interessi, esperienze e caratteristiche che ci contraddistinguono e che sono alla base delle relazioni che instauriamo con le altre persone. E queste differenze rappresentano uno spunto di arricchimento perché ci permettono di imparare e conoscere cose che altrimenti non conosceremmo. Per esempio, il compagno di origine cinese può insegnarci molto sulla cultura del suo paese di origine, sui piatti che si cucinano e si consumano a casa sua. Allo stesso modo, un compagno cieco può insegnarci molto sulla lingua Braille, su come si compiono i gesti quotidiani, come versare l’acqua in un bicchiere senza rovesciarla, quando non hai a disposizione la vista che ti aiuta. La disabilità è quindi un’occasione di incontro, azzera le distanze apparenti tra le persone e crea l’opportunità per imparare cose che altrimenti ignoreremmo, permettendoci di conoscere l’altro ed entrare in sintonia con lui, sperimentare le sue stesse esperienze.
- I bambini con disabilità possono fare le stesse cose che fanno tutti gli altri bambini. Probabilmente hanno bisogno di essere aiutati da un adulto, oppure devono avvalersi di uno strumento particolare come una sedia a rotelle o un apparecchio acustico e questo potrebbe renderli un pochino più lenti a fare le cose. Ma è normale: del resto alcuni bambini portano l’apparecchio ai denti e fanno fatica a masticare, quindi mangiano più lentamente; altri bambini indossano gli occhiali perché non vedono bene ma, alla fine, riescono a leggere come tutti gli altri.
L’elenco potrebbe continuare all’infinito con tutti i possibili spunti ma il fulcro di tutto il discorso è la positività del messaggio che si lancia. La disabilità può essere presentata come un terribile evento nefasto o come un’occasione di crescita e uno strumento per andare oltre le differenze individuali, scoprendo nell’altro una fonte preziosa di arricchimento. Sta solo a noi decidere quale strada presentare ai nostri figli, ma se siete approdati qui è perché dentro di voi l’avete già scelta. Abbiate cura di percorrerla costruendo ponti e non muri.
Le esperienze da proporre
L’integrazione sociale, scolastica e culturale delle persone con disabilità presuppone un elemento cardine che ci riguarda molto da vicino nell’educazione dei nostri figli: lo sviluppo di empatia e di intelligenza emotiva.
Come sappiamo, l’empatia può essere definita come la capacità di comprendere gli stati d’animo, i comportamenti e le emozioni altrui, mettendosi nei panni dell’altro.
Del pari, l’intelligenza emotiva riguarda l’abilità di percepire, valutare ed esprimere le emozioni, riconoscendole e gestendole quando proprie e quando altrui, nonché la capacità di utilizzare queste conoscenze per orientare i propri pensieri e le proprie azioni.
Un bambino dotato di intelligenza emotiva ed empatia, quindi, è naturalmente portato ad entrare in comunicazione con l’altro mettendosi nei suoi panni, percependo il valore e l’intensità delle sue emozioni e regolando di conseguenza il proprio comportamento nei suoi confronti. Basterebbe questo per rendere la società migliore di quel che è oggi.
La responsabilità che abbiamo è quella di crescere bambini empatici e dotati di intelligenza emotiva sviluppata in modo competente ed adeguato all’età.
Uno degli strumenti più utili a questo scopo, oltre ovviamente alla conoscenza del fenomeno della disabilità, è l’opportunità di sperimentare esperienze che stimolino la capacità di mettersi nei panni dell’altro, attraverso il gioco.
Questa tecnica, molto conosciuta ed utilizzata nelle scuole per favorire e realizzare l’inclusione dei bambini affetti da disabilità, è nota come role-play: essa consiste nell’intraprendere un gioco di ruolo in coppia, che permetta ai bambini di entrare nei panni dell’altro per sperimentare direttamente la sua condizione e imparare a conoscere meglio ciò che egli prova.
Anche in famiglia è possibile proporre ai bambini esperienze di gioco individuali o di gruppo nelle quali sia richiesto di sperimentare la condizione caratteristica della disabilità di un amico o di un compagno:
- Mangiare totalmente al buio, riconoscendo profumi, sapori e consistenze dei cibi
- giocare in giardino ad un gioco di gruppo, schermando le orecchie per eliminare il più possibile i rumori esterni
- Compiere azioni della vita quotidiana senza l’ausilio di uno degli arti
- Indovinare il significato di frasi scritte in una lingua sconosciuta per far comprendere in cosa consistano le difficoltà cognitive e di apprendimento
E così via, gli spunti sono moltissimi. Abbiate però cura di guidare queste esperienze, sia che siano individuali che nel caso venissero sperimentate in gruppo, per evitare che possibili frustrazioni nella sperimentazione dell’esperienza ostacolino il gioco.
A riguardo, inoltre, non possiamo esimerci dal segnalare la possibilità di fruire – a livello familiare – di esperienze di intrattenimento educativo estremamente formative sotto il profilo della conoscenza della disabilità e dell’inclusione. Per esempio, l’Istituto dei ciechi di Milano offre la possibilità di partecipare all’esperienza “Dialogo nel buio”, attraverso la quale i partecipanti possono sperimentare la condizione di cecità vivendo esperienze della vita quotidiana avvolti dal buio totale, sotto l’attenta vigilanza di guide esperte. Sono disponibili, inoltre, workshop online per scuole e aziende. Il percorso è disponibile anche per altre città, consultate il link per verificare la possibilità di partecipare direttamente nella vostra.
CONSULTA IL LINK : DIALOGO NEL BUIO
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Spiegare la disabilità con la lettura condivisa
Come in moltissimi altri campi legati alla gestione delle emozioni infantili, la lettura condivisa ci viene in aiuto quando sentiamo di non riuscire a trovare le parole giuste per spiegare tematiche molto importanti.
In particolare, la lettura risulta particolarmente indicata a spiegare il tema della disabilità perché agevola e facilita l’immedesimazione del lettore nella condizione descritta dal narrato, raggiungendo al contempo due obiettivi:
- lo sviluppo di empatia col personaggio che racconta la sua condizione di disabile
- l’autocoscienza e regolazione delle emozioni del lettore dinanzi al problema della disabilità
I bambini, dunque, imparano non solo a mettersi nei panni dell’altro per conoscere cosa prova nella sua condizione, ma sono condotti in un percorso di autoconoscenza lungo il quale imparano a superare la difficoltà relazionale nei confronti della persona con disabilità. Imparano come gestire le proprie emozioni e come incanalarle per costruire una relazione con l’altro superando le proprie paure nei suoi confronti.
Abbiate cura di scegliere sempre testi adatti in funzione dell’età, perché sono studiati appositamente per “parlare” al bambino tenendo conto del suo livello di maturazione emotiva e cognitiva.
Di seguito, comunque, segnaliamo una bibliografia essenziale che può tornarvi utile qualora foste interessati ad intraprendere una lettura condivisa a tema con i vostri bambini.
Mia sorella è un quadrifoglio
di Beatrice Masini e Svjetlan Junakovic, edito Carthusia
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Si tratta di un libro che affronta delicatamente il tema della nascita e dell’accoglienza in famiglia di un bambino con disabilità, presentandoci una storia tenera e pregna di amore con gli occhi di Viola e della sua neonata sorellina Mimosa.
La lettura è indicata a partire dai 5 anni di età.
Betta suona qui
di Gigliola Alvisi, con le illustrazioni di Laura Desiree Pozzi, edito Coccole Books
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In questo testo, studiato nelle illustrazioni e nel carattere per essere adatto ai giovani lettori che si sono appena affacciati alla scuola primaria, il tema della disabilità e dell’accettazione viene proposto parlando ai bambini di autismo, di amore fraterno e di amicizia.
Io sono sordo
di Manuela Marino Cerrato con le illustrazioni di Annalisa Beghelli, edito Carthusia
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Io sono sordo presenta alla riflessione dei bambini il tema della sordità. Il protagonista guida i piccoli lettori, suoi coetanei attraverso una disamina sincera e disarmante della sua condizione, sviscerando attentamente ogni aspetto positivo e negativo dell’essere sordi.
Sì, perché nella mente del nostro protagonista la disabilità presenta anche molti lati positivi e i bambini li scoprono dalla sua viva voce, con stupore e ammirata meraviglia.
La lettura è indicata dai 10 anni.
Wonder
di R. J. Palacio, edito Giunti
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Questa è la storia di Auggie, bambino con la sindrome di Treacher Collins, e della sua famiglia che ha dovuto imparare ad accettare e accogliere la sua diversità. È la storia di Via, sorella di Auggie, affetta dalla sindrome che colpisce sempre i fratelli di un bambino malato. È la storia di bambini eccezionali che stringono subito amicizia con Auggie e di bambini ordinari, che hanno paura e non sanno come affrontare la sua diversità.
Ma è anche la storia di un insegnante che ha saputo guidarli attraverso la conoscenza di se stessi e dell’altro, attraverso l’accettazione di ciò che li spaventava e l’amicizia con chi non avrebbero mai pensato.
Questa è la storia di disabilità e inclusione che ha commosso il mondo intero.
È adatta dagli undici anni in poi.
Bonus per i genitori: una storia vera di disabilità e abbandono
Se seguite questa rubrica letteraria da un po’ di tempo, sapete che sui grandi temi della socialità cerchiamo di consigliare non soltanto testi validi per la lettura condivisa con i bambini ma anche libri utili a noi adulti per inquadrare correttamente il problema e avere spunti di riflessione.
Recentemente ho avuto occasione di valutare una delle ultime uscite per Fabbri Editori, Niente lacrime per Rosemary, la drammatica storia della Kennedy dimenticata, dalla penna di Marina Marazza e Simona Capodanno.
LINK DI AFFILIAZIONE AD AMAZON: Niente lacrime per Rosemary, la drammatica storia della Kennedy dimenticata
Rosemary Kennedy fu la terza figlia di Joseph Kennedy e Rose Fitzgerald, sorella del (poi) Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy.
A causa di un problema durante il parto, Rosemary subì un’ipossia cerebrale che le causò danni permanenti, un ritardo mentale e parecchie difficoltà a livello motorio.
La famiglia Kennedy non accettò mai la disabilità di Rosemary e fece di tutto per “guarire” la giovane da questa sua condizione, ovviamente senza alcun esito se non le terribili conseguenze di una lobotomia azzardata da uno spregiudicato dottore.
Il libro è molto valido per approfondire due differenti aspetti.
Da un lato il peso delle aspettative genitoriali sui figli e le conseguenze che questo può avere, facendoli sentire letteralmente soverchiati e incapaci di raggiungere ciò che ci si aspetta da loro.
Dall’altro, la difficoltà di accettare un figlio con disabilità quando il metro che guida l’azione è l’ambizione al successo, l’incapacità di rassegnarsi al fatto che i figli non nascono per realizzare i nostri desideri, che sono persone diverse da noi, con le loro caratteristiche, e la conseguente nascita del “mito familiare” della pecora nera.
Una lettura illuminante per qualunque genitore che desideri accostarsi nel modo corretto alla spiegazione della disabilità ai propri figli.
Avete già letto qualcuno di questi libri? Ne conoscete altri da segnalare a chi cerchi libri per spiegare la disabilità ai bambini? Scrivetecelo nei commenti!