Protezione finanziaria: perché è importante per le donne?
Pubblicato il 21 Ottobre 2021 da Barbara Damiano
Vediamo cosa significa protezione finanziaria e i motivi per cui è un tema importantissimo per le donne ancor più che per gli uomini. Spoiler: c’entrano il lavoro precario e discontinuo per cura di figli e anziani e una speranza di vita più elevata.
Ne parliamo con Michela Calculli, divulgatrice che racconta parole semplici Economia, Finanza e Fisco. Con lei ho condotto una live proprio su questo tema e potete riguardarla qui:
Protezione finanziaria e coperture assicurative
Protezione finanziaria chiama assicurazione.
Proteggersi finanziariamente significa tutelare il proprio patrimonio, piccolo o grande che sia, dalle eventualità della vita.
L’esempio classico è la RC auto, che protegge il patrimonio della persona assicurata dai danni che potrebbe causare ad altri mentre si trova alla guida del proprio veicolo.
In sostanza con il pagamento del premio assicurativo, si condivide il rischio legato ai sinistri con tutte le altre persone assicurate. Quindi poi la compagnia assicurativa ha i fondi per coprire i danni, fondi che magari la persona assicurata non avrebbe nelle proprie disponibilità.
Ho parlato di RC auto perché dal momento che si tratta di un obbligo di legge, è l’assicurazione più diffusa in Italia.
Ma i rischi della vita sono tanti e alcuni possono poi avere un impatto sull’intera famiglia ed in particolare sui membri più fragili del nucleo familiare, come i bambini e i minori in generale.
Sebbene le coperture assicurative presenti sul mercato coprano una moltitudine di casistiche, desidero parlare in particolare degli eventi infausti come disoccupazione, invalidità o morte prematura che sono contemplati dalle nostre istituzioni e in parte coperti da istituti pubblici come:
- Naspi (vecchia disoccupazione);
- reddito di Cittadinanza;
- invalidità;
- reversibilità (pensione garantita al coniuge e/o ai figli del defunto).
Perché mi soffermo su questi eventi? Perché presentano due criticità:
- sono difficili da affrontare e quindi si tende psicologicamente a evitarli, come se non potessero riguardarci mai;
- la presenza di strumenti statali a parziale tutela del reddito, ci fa credere erroneamente che gli importi che potremmo ricevere siano sufficienti.
Ma bisogna essere anche consapevoli che non sempre queste tutele statali bastano a coprire le uscite della famiglia come mutuo, bollette, rate di debiti contratti in passato.
Dunque occorre ragionare sul livello di copertura che si otterrà dallo Stato. Se il saldo è negativo, bisogna pensarci prima e integrare stipulando delle polizze assicurative, dedicando a questo parte del proprio reddito.
Protezione finanziaria e lavoro delle donne
Nel nostro Paese le donne occupate sono la metà delle donne in età da lavoro. Questo significa che almeno il 50% delle donne italiane sono soggetti finanziariamente fragili nella loro famiglia.
Mi spiego meglio: significa che in caso di disoccupazione, invalidità o morte prematura del partner o del familiare che le sostiene finanziariamente, queste donne rischiano di vedere il proprio tenore di vita fortemente ridotto se ci si affida alle sole tutele pubbliche elencate nel paragrafo precedente.
Il bisogno di attivare strumenti di protezione del patrimonio e del tenore di vita, dunque, è più importante per le donne a partire dal dato legato all’occupazione.
E ci tengo a sottolineare che la prima protezione finanziaria, per le donne, dovrebbe essere quella di lavorare, di avere un reddito proprio. Cosa che purtroppo riguarda soltanto metà delle donne del Paese e con la pandemia il dato va peggiorando, dal momento che mentre scrivo più del 90% dei posti di lavoro persi nell’ultimo anno riguarda proprio le donne.
E quando il lavoro c’è?
In quel caso gli ostacoli che richiedono dei ragionamenti in termini di protezione riguardano:
- contratti di lavoro precari e discontinui, soprattutto per giovani e donne;
- carico di cura di figli e anziani, quasi tutto sulla componente femminile della popolazione.
Carriere che vanno avanti a strattoni e che possono portare a delle fasi di mancati guadagni, che potrebbero essere compensate valutando delle coperture assicurative, in particolare se si è lavoratrici autonome dunque prive in tutto o in parte della “disoccupazione statale” (sebbene il governo stia lavorando per porre rimedio a questa disuguaglianza di trattamento tra lavoro dipendente e indipendente).
Donne e previdenza
Le donne infine, vivono di più. Una buona notizia? Dipende.
Una speranza di vita maggiore comporta anche una necessità di maggiore copertura nel periodo di vita in cui non si lavora più: quello della pensione.
Chi legge magari ha 20, 30, 40 o 50 anni, e sta pensando che la questione ancora non la riguardi, ma non è così nemmeno per le giovanissime.
Perché la prima persona che dovrebbe prendersi cura di una donna anziana e probabilmente longeva, è proprio quell’anziana stessa quando è giovane.
Sono io che devo proteggere la me del futuro e garantirle una vita il più possibile serena, quando sarà il momento.
In Italia il sistema pensionistico pubblico e obbligatorio, si basa attualmente su tre metodi di calcolo:
- retributivo, che determina l’assegno della pensione sulla base delle ultime retribuzioni dunque quando il lavoratore è al top della carriera;
- contributivo, che si basa sui contributi versati nel corso della carriera lavorativa;
- misto, che è un sistema ideato per gestire la transizione da retributivo a contributivo.
In estrema sintesi, chi ha iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 avrà la pensione basata sul solo metodo contributivo, che senza calcolatrice alla mano, riduce di molto l’importo percepito mensilmente rispetto al reddito da lavoro di quel pensionato, considerando che negli anni il lavoro si è precarizzato e si possono affrontare fasi di disoccupazione involontaria e mancata contribuzione.
Ed è qui che la situazione delle donne si aggrava per i motivi ormai noti:
- speranza di vita superiore a quella degli uomini;
- lavoro precario;
- discontinuità contributiva che, come abbiamo visto, può essere causata dall’essersi dovuta occupare in via esclusiva dei bambini e degli anziani della famiglia.
Ecco perché la questione va affrontata, guardando in faccia le persone anziane che saremo e immaginare con loro il nostro futuro.
Ma che fare?
Due i passaggi fondamentali:
- Accedere al servizio “La Mia Pensione” INPS che ti consente di fare delle simulazioni per capire quando si potrà andare in pensione e quale sarà l’importo dell’assegno pensionistico. Operazione utile a scoprire se, per mantenere il tuo tenore di vita, è necessaria la previdenza complementare, oltre a quella pubblica.
- Valutare la previdenza complementare ed inserirla tra gli obiettivi di risparmio concreti a cui destinare parte del proprio denaro.
Previdenza complementare
La previdenza complementare serve ad ottenere una pensione integrativa rispetto a quella garantita dalla previdenza obbligatoria, ed è una scelta dal momento che c’è libertà di aderirvi o meno, mentre la previdenza pubblica è obbligatoria per chiunque lavori.
E ancora, mentre per la previdenza obbligatoria le pensioni di oggi le pagano in lavoratori di oggi con i propri contributi (criterio della ripartizione), la previdenza complementare si basa sulla capitalizzazione individuale.
Mi spiego: se si aderisce alla previdenza complementare, il gestore privato che se ne occupa apre un conto personale su cui accumula i versamenti e i rendimenti che derivano dal capitale investito, al netto delle spese di gestione e delle imposte.
Per chi è dipendente, poi, si può far confluire nella previdenza complementare anche il TFR e a seconda dei contratti collettivi anche un contributo a carico del datore di lavoro.
Lo Stato italiano, vista l’importanza assunta negli anni dalla previdenza complementare, riserva anche un trattamento fiscale di favore ai versamenti, ai rendimenti e infine agli assegni integrativi che si ricevono al momento della pensione.
Insomma vale davvero la pena di fermarsi, farsi i conti in tasca e pensare al futuro nella maniera più serena e informata possibile.