Nativi digitali e Cyberbullismo: come tutelare la vita dei propri figli online
Pubblicato il 11 Dicembre 2018 da Chiara Mainini • Ultima revisione: 11 Dicembre 2018
La presenza online dei nostri figli, nativi digitali, genera una modesta ansia in ogni genitore. Molti sono i reati online che vengono consumati ogni giorno, a cui prestare attenzione e, quindi, la prospettiva che i nostri ragazzi possano incappare in qualche brutta esperienza ci spaventa moltissimo.
Come genitori, dovremmo tenere presente che la presenza online dei nostri figli non è mai consigliata prima che essi abbiano ricevuto una rigorosa ed attenta educazione sotto il profilo digitale, oltre che personale. Questo perché i social media in generale, ed i social network in particolare, offrono il concreto rischio che i minori restino vittima di svariate tipologie di reato, ma anche che se ne rendano colpevoli.
A riguardo, nel 2015 Save the Children ha commissionato un’interessantissima ricerca intitolata “I nativi digitali conoscono davvero il loro ambiente?“, effettuata da Ipsos su un campione di ragazze e ragazzi tra i 12 e i 17 anni per un totale di 1003 adolescenti selezionati in base a sesso, età ed area geografica.
I risultati sono a dire poco allarmanti.
- il 46% di tutti gli intervistati ha dichiarato che lui stesso, un un/a amico/a, hanno scoperto che la persona incontrata e conosciuta in rete non era realmente quella che diceva di essere;
- il 35% degli intervistati ha riconosciuto l’esistenza, anche frequente, di atti di cyberbullismo;
- di questi, ben il 9% ha ammesso di averne subiti personalmente;
L’aspetto anche peggiore di questo mondo sommerso di delinquenza digitale è rappresentato dalla dispercezione che i ragazzi ne hanno e dalle contromisure di sicurezza di cui si dichiarano consapevoli:
- il 38% dei ragazzi non ritiene che le molestie inoltrate e pervenute per mezzo di internet o social app rappresentino una minaccia concreta nella vita reale;
- soltanto il 59% dei ragazzi dichiara di conoscere l’esistenza e l’utilizzo della funzione “segnala abuso” presente sui social, percentuale che scende al 53% nella fascia d’età più delicata tra i 12 e i 13 anni.
Indice dell'articolo
La consapevolezza delle conseguenze giudiziarie delle proprie azioni
Lo studio citato non ha affrontato il tema della consapevolezza delle conseguenze legali delle propria condotta social, ed è un peccato.
Un dato però, tra quelli citati, risulta parecchio preoccupante: il 38% dei ragazzi non percepisce come concrete le minacce e le molestie inoltrate e pervenute via cellulare/mail/internet.
Questo significa, prima di tutto, che una larga fetta della popolazione di adolescenti italiani non ha una corretta educazione civica, non conosce l’esistenza ed il significato dei principali reati contro la persona e non ne riconosce la manifestazione digitale.
Il quadro che ne viene fuori è allarmante: se idealmente dividessimo la popolazione adolescenziale in buoni e cattivi digitali, avremmo come risultato che i cattivi non conoscono le conseguenze legali delle proprie azioni; mentre i buoni non sanno come tutelarsi di fronti alla manifestazione di tali cattive condotte.
Ne sono un chiaro esempio i molteplici casi di sexting che coinvolgono adolescenti: un numero crescente di ragazze che, ingenuamente e fidandosi, cedono alla richiesta del fidanzatino di inviare immagini o video osé, che vengono poi inoltrate da costui ad una quantità indeterminata ed indeterminabile di soggetti con conseguente diffusione incontrollata.
Molte non resistono alla vergogna
La struttura tipica del fenomeno di cyberbullismo in rete
Accanto alla condotta criminosa di un soggetto si pone quella connivente di altri che – a seconda del tipo di reato commesso – intervengono col proprio comportamento ad arricchirlo e propagarne le conseguenze in un gruppo più o meno folto di altri individui che, a loro volta, vi assistono inermi, quasi divertiti.
E così possiamo avere un soggetto alfa che picchia una vittima, altri che lo riprendono con un telefonino e poi fanno circolare le immagini in una comunità più o meno ristretta di altri soggetti, per mezzo delle social app del gruppo o addirittura pubblicandone il video su Facebook. In quest’ultimo caso, alla potenza di fuoco del network, che rende il contenuto potenzialmente disponibile ad una quantità illimitata di soggetti, si sommano le conseguenze negative dei like e dei commenti che possono esservi apposti dagli utenti raggiunti.
Tutto ciò integra gli estremi di uno o più reati gravissimi, la cui responsabilità è imputabile anche soltanto a chi vi abbia apposto un “like”.
Tuttavia i ragazzi non ne sono consapevoli. Non percepiscono l’esistenza di un reato nè la propria responsabilità a riguardo.
Quando interrogati, spesso emerge chiaramente che neppure i loro genitori apprezzano effettivamente l’esistenza di uno o più reati e di una responsabilità legale a loro stessi ascrivibile in merito.
Ed è su questo che è necessario intervenire.
La disciplina legale del Cyberbullismo
Il nostro Legislatore è intervenuto a disciplinare legalmente il fenomeno del Cyberbullismo con la Legge 29 maggio 2017 n. 71 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo“.
l’Articolo 1 della citata legge, al comma 2, stabilisce che per cyberbullismo si intende:
qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo.
Conoscere e riconoscere il Cyberbullismo è fondamentale per prevenirlo efficacemente.
Sulle singole condotte che possono integrare il reato di cyberbullismo torneremo specificamente con una serie di prossimi post.
Altri pericoli della Rete per i minori, o reati
Qui vorrei fornirvi una prima casistica generale che vi permetta di identificare prontamente la struttura del reato e le condotte che possano teoricamente esservi ascritte.
Flaming
Il flaming consiste nella pubblicazione online di messaggi volgari, violenti, offensivi o provocatori che abbiano il fine di scatenare forti scontri verbali su un social network (sulla bacheca personale di un individuo; su una pagina pubblica ricollegabile ad un soggetto determinato o determinabile; all’interno di un gruppo chiuso, segreto, pubblico, aperto, ecc.) oppure all’interno di un forum di discussione.
Il compagno che pubblica sulla bacheca personale di un amico messaggi violenti, provocatori e insultanti circa le abitudini sessuali di quest’ultimo, scatenando una bagarre di genere condivisa da molteplici individui contro l’omosessualità può esserne un esempio lampante.
Harassment o Molestie
Con terminologia anglofona, si definisce Harassment (molestia) l’invio ripetuto di messaggi offensivi che abbiano il fine di ferire una determinata persona, messaggi che siano idonei a determinare in ella un disagio emotivo e psichico.
Succede, per esempio, nei casi in cui il “fidanzatino arrabbiato” tempesti la propria ragazza di messaggi poco lusinghieri, affibbiandole epiteti particolarmente offensivi che non vorrei neppure ripetere e per eleganza renderemo col termine “prostituta”, “ragazza di facili costumi” e simili. Quando la condotta si ripete nel tempo, magari accompagnata da allusioni a provvedimenti violenti, può integrare perfettamente gli estremi di questa tipologia di cyberbullismo.
Denigration o denigrazione
La denigrazione consiste nell’insultare o diffamare qualcuno online con
- pettegolezzi
- menzogne
- dicerie
- commenti crudeli e offensivi
mediante l’utilizzo di email, sms, social app di messaggistica istantanea, piattaforme di social network, allo scopo di danneggiare la reputazione della vittima o le sue amicizie.
Si badi che la differenza tra pettegolezzo e menzogna assume, generalmente, connotati definiti. Il primo consiste in un messaggio che potrebbe essere vero come non esserlo, mentre la seconda è una chiara mistificazione della realtà.
Dal punto di vista della responsabilità penale, tuttavia, non vi è alcuna differenza tra i due concetti.
Nel nostro ordinamento infatti, integra gli estremi della diffamazione la condotta di chi, comunicando con più persone, offenda l’altrui reputazione anche mediante attribuzione di un fatto determinato.
Che quel fatto risulti vero è del tutto irrilevante: l’art. 596 del codice penale esclude che il colpevole possa invocare a propria discolpa la verità o notorietà del fatto attribuito. Se il fatto che viene rivelato è di per sé idoneo a ledere l’onore e la dignità della vittima, vi è responsabilità penale del soggetto diffamatore.
Sarà dunque ritenuto responsabile di Denigration ai sensi della citata legge, chiunque per esempio pubblichi sulla propria bacheca o invii tramite whatsapp messaggi relativi alle numerose e promiscue prodezze erotiche, reali o inventate, di una ex fidanzata o di un’amica allo scopo evidente di distruggerne la reputation sociale.
Sostituzione di persona o furto di identità
In questo caso, il cyberbullo si appropria dell’identità della vittima, creando falsi account con falsa identità al fine di pubblicare contenuti che danneggino l’immagine ed il decoro di essa.
Accade, per esempio, quando un ragazzo crea un account a nome di un altro soggetto, pubblicando status o messaggi che siano auto-denigratori (“sono un gay di mer*a“) oppure contenuti evidentemente razzisti che vadano a definire la social reputation di quella persona in senso negativo, come appunto omofoba o razzista.
Esclusione
Questo fenomeno pare essere maggiormente latente rispetto a quelli descritti fin qui ed è anche quello meno percepito, in generale, come illegale e discriminatorio sia dai ragazzi che dagli adulti.
Si verifica ogniqualvolta un individuo crei gruppi tematici (gruppi di amici, chat, gruppi relativi a giochi interattivi o sport) costituiti su social network o social app e ne escluda volontariamente un soggetto che, pur avendo titolo per parteciparvi, viene escluso allo scopo specifico di essere isolato creando, contro di lui, un sentimento di emarginazione.
È il caso, ad esempio, del compagno escluso volontariamente dal gruppo della squadra di sport sociale dal “leader”, all’evidente scopo di discriminare ed emarginare il soggetto considerato meno meritevole del posto in squadra.
Il Cyber-stalking
Del cyber-stalking, quale specificazione della più generale figura del reato di stalking, parleremo in uno dei prossimi post di questa serie.
In questa sede basti dire che si tratta della condotta di chi molesti, minacci, o continuamente e in modo ripetuto esprima frasi denigratorie ed ingiuriose o minacciose con lo scopo di ingenerare nella vittima uno stato di terrore per la propria vita.
I vari “ti ammazzo“, “se non stai con me non starai con nessuno“, “attenta quando esci di casa“, se perpetrati ripetutamente col mezzo elettronico o telematico di internet, con mail o con l’uso di social app, può configurare l’ipotesi di cyberstalking. Ma, come dicevo, ne tratteremo diffusamente in un prossimo post.
Outing o Inganno
Qui il cyberbullo si avvicina con l’inganno alla vittima, con lo scopo specifico di ottenerne la fiducia e la rivelazione di segreti e confidenze che poi saranno prontamente rivelati e resi pubblici violandone la riservatezza.
Anche in questo caso, nella pratica, si evidenzia una dispercezione molto forte da parte di ragazzi e genitori rispetto al disvalore sociale e penale dell’atto. I responsabili e i loro genitori tendono a considerare la cosa come una bravata, financo una mancanza di rispetto per l’amicizia e la fiducia riposta da parte della vittima: ma nessuno pensa mai che vedere i propri segreti spiattellati in pubblico senza ritegno, magari corredati di foto intime, sia un atto illegale e non solo enormemente maleducato.
Sexting
Con questa fattispecie torniamo a bomba del nostro primissimo esempio, balzato agli onori della cronaca col tragico caso della ragazzina di 13 anni che inviò, ahimè, le proprie foto intime al fidanzato tramite whatsapp come “Pegno di amore”, foto che in brevissimo tempo furono da questi diffuse ai propri amici e si sparsero, poi, tra numerosi studenti del Nord e Centro Italia.
Si tratta dunque dell’illecita diffusione di materiale come messaggi, foto e video a carattere sessuale tramite smartphone e tablet a soggetti diversi dall’originario destinatario cui la vittima aveva deciso di inoltrarli e senza il consenso di quest’ultima.
Doxing
Il termine doxing, contrazione delle due parole documents e texting, indica la condotta di chi diffonda o pubblichi informazioni personali e private o altri dati sensibili della vittima tramite la rete internet con qualunque strumento, ledendo la privacy ed il diritto alla riservatezza del soggetto preso di mira.
Personalmente, ho osservato casistiche sconcertanti relative a ragazzini di 12/13 anni che avevano deciso di diffondere dati relativi all’andamento scolastico non particolarmente brillante della vittima, condendo il tutto con messaggi e nomignoli fortemente offensivi e discriminatori.
Anche in questi casi, si evidenziava una totale sottovalutazione del problema da parte dei genitori dei responsabili, che tendevano a qualificare tali eventi come “ragazzate” assolutamente perdonabili.
Come tutelare la presenza dei figli online: le soluzioni possibili
È chiaro che l’isolamento digitale oggi come oggi non è neppure vagamente ipotizzabile.
Internet è una fonte preziosa di auto anche per attività nobili come lo studio ed il lavoro e non è giusto, né legittimo, imporre ai ragazzi di non servirsene.
Quello che serve è una corretta formazione all’utilizzo intelligente delle nuove tecnologie, se necessario istruendovi primariamente i genitori.
Perché un fatto è certo: se i nostri figli sono considerati nativi digitali noi non lo siamo e l’educazione primaria sulla corretta presenza in rete, nel rispetto pieno della comunità digitale e della legalità, dovrebbe essere impartita proprio a noi.
La naturalezza con la quale osserviamo i nostri figli mentre “smanettano” con un telefono o un cellulare – mentre noi ancora litighiamo con il carrello carta della stampante – ci illude che crescere da subito in un ambiente digitale li educhi automaticamente ad abitarlo nel migliore dei modi.
Non è così, esattamente come lasciare che i figli crescano nella comunità sociale del quartiere, della scuola, della società senza mai assorbire delle regole non ne farà dei cittadini esemplari.
La responsabilità di questo, anche legalmente, ci appartiene in modo quasi esclusivo, condiviso con quelle istituzioni scolastiche che ahimè – non per propria colpa – hanno dovuto abdicare da tempo al necessario insegnamento dell’educazione civica.
Come avvocato, in base alla mia esperienza professionale, posso affermare di aver assistito più volte a condotte genitoriali online prive dei pur minimi requisiti non solo dell’educazione personale ma addirittura del rispetto della legalità, nella piena convinzione che una tastiera consegni il diritto di rovesciare sul prossimo l’intero fluire dei propri (poco lusinghieri) pensieri.
Internet però, e nella specie le sue diramazioni social più frequentate, non possono essere la pattumiera della nostra inciviltà ed ignoranza.
La libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, tanto invocate in circostanze quanto mai fuori luogo, non sono state codificate per consentirci di diffamare, molestare, insultare il prossimo a nostro piacimento e non possono rappresentare la giustificazione dei nostri comportamenti più turpi.
Tutelare i nostri figli e la loro vita sociale online deve necessariamente passare attraverso un’attenta auto-educazione alla socialità telematica e personale, per poi poter insegnare loro il corretto comportamento da attuare nelle comunità frequentate, anche – ma non solo – nella rete.
È quindi assolutamente indispensabile la formazione genitoriale al riconoscimento delle condotte di reato più frequenti e più diffuse sul web, allo scopo di fornire loro i necessari strumenti di insegnamento e prevenzione dei comportamenti penalmente rilevanti più frequentemente messi in atto dai ragazzi, speso senza accorgersene.
Lo step successivo è insegnare ai genitori, affinché insegnino ai loro figli, come ci si tutela da un abuso online: quali sono gli strumenti messi a disposizione dai social network o dai provider, le autorità competenti alle quali inoltrare le segnalazioni, le procedure giurisdizionali più corrette da attuare per proteggere i propri figli.
Ma, soprattutto, conta la creazione e la diffusione di una cultura della legalità e della libertà che sia basata sulla responsabilizzazione della famiglia in merito all’operato dei figli online.
I nostri ragazzi, pur se minorenni, non sono necessariamente esenti da responsabilità penale per i comportamenti attuati nei confronti del prossimo
Questo moltissimi genitori ancora non lo sanno e non si aspettano che il proprio figlio quindicenne possa essere sottoposto a procedimento penale, pur con tutte le cautele riservate dal rito minorile, per un comportamento diffamatorio nei confronti di un amico.
E molti genitori, soprattutto, non sospettano neppure l’esistenza di un principio di legge fondamentale che li identifica come responsabili civili dei danni arrecati dai propri figli minori e delle conseguenti condotte risarcitorie.
Tutti questi argomenti li affronteremo ed approfondiremo nei prossimi post.
Lettura consigliata:
Cyberbullismo, guida completa per genitori, ragazzi e insegnanti, di Berti-Valorzi-Facci