Come educare i figli alla felicità
Pubblicato il 8 Maggio 2017 da Mamma Felice
Indice dell'articolo
Educare alla felicità per me è educare alla libertà.
Se un bambino, compatibilmente con la sua età e le sue capacità, ha sufficiente libertà per sperimentare il mondo e diventare se stesso, sarà un bambino felice e – non da meno – fiducioso.
Un bambino a cui viene impedito di esprimersi liberamente ha maggiori possibilità di diventare fragile, pauroso, con un carattere stereotipato: potrebbe sentirsi spinto a diventare ciò che i genitori desiderano, invece che diventare ciò che lui desidera.
Educare alla felicità per me è educare alla resilienza.
Se non facciamo mai sperimentare ai bambini i NO e le regole, e anche le frustrazioni che ne conseguono, come potranno imparare a far fronte agli eventi negativi della vita e a risolverli?
Se impediamo ai bambini di esprimere anche i sentimenti negativi, come la rabbia e la frustrazione, come potranno superare queste sensazioni per trovare la felicità risolvendo i propri problemi?
Educare alla felicità per me è educare alla consapevolezza.
Innanzi tutto acquisire IO sufficiente consapevolezza di me, del mio corpo, della mia vita, del mio carattere e del mio amore e quindi scegliere la vita che mi fa stare bene. E poi educare alla consapevolezza mia figlia, sempre in base all’età: ragionare insieme, ma soprattutto esprimere i sentimenti, parlarne, verbalizzarli.
Questo implica una forte propensione al cambiamento: io ho avuto molte vite e so che ne avrò ancora molte, perché quando la vita che ho mi va stretta, metto in moto le azioni per cambiarla.
Se non sono felice del mio lavoro, lo cambio.
Se non sono felice della mia casa, la cambio.
Se non sono felice della mia associazione, divento presidente di un’associazione nuova.
La resilienza è questa: approvare il cambiamento, abbracciarlo, imparare a sistemare la vita in modo da stare bene.
Questa è la critica maggiore che mi viene riferita: che la faccio sempre troppo facile.
Perché non essendo chiaramente semplice cambiare lavoro o casa o altre cose della vita, sembra che, chi ha voglia di cambiare in meglio, abbia tutto facilitato. Cosa che non è vera. Perché il cambiamento è una scelta forte, che implica dolore, rottura, perdita… prima della rinascita.
Bisogna scegliere come vogliamo amare la vita. Se va bene così come viene, o se possiamo amare la vita così tanto da rifiutarci di sprecarla in una gabbia che ci crea sofferenza. Anche quando magari un cambiamento richiede 4 anni, ma in quei 4 anni pedaliamo come pazzi per realizzarlo.
Questo è quindi innanzi tutto un lavoro grosso su se stessi come persone adulte, e quindi di riflesso come genitori.
Educare i figli alla felicità significa sperimentare in prima persona la felicità.
Non possiamo chiedere ai figli di provare felicità al posto nostro!
Come genitore, per me educare alla felicità significa quindi dare l’esempio a mia figlia, dimostrarle che io per prima sto bene come sono e con le cose che faccio, che sono allegra, che mi diverto, che mi piacciono un sacco di cose, che mi piacciono le persone.
Per me la felicità non è edonismo, ma è essere felici CON gli altri: in questo senso è praticamente impossibile che la felicità diventi puro egoismo, nel senso che per fare stare bene gli altri dobbiamo prima stare bene con noi stessi, altrimenti non possiamo dare niente nemmeno a loro.
Non è un modello di educazione perfetto: non immaginateci dentro un musical tutte le sere a cantare intorno al camino.
Ma è un modello di educazione positiva, allegra. Noi cerchiamo di evitare le tragedie e le tensioni.
Non è una tragedia la tazza della colazione che resta sul tavolo sino a cena, non è una tragedia il mucchio di calzini sul pavimento, non è una tragedia il disordine in cameretta. Saremmo ingiusti e irriconoscenti a definire tragedie queste sciocchezze futili, quando intorno a noi la gente muore per la guerra o ha figli malati.
Bisogna proprio ridimensionare tutto, le nostre aspettative, i nostri giudizi, le cose che ci mandano fuori di testa dalla rabbia… perché non abbiamo proprio il diritto di essere arrabbiati, vivendo qui e con tutte le opportunità che abbiamo e in tempo di pace.
E il mio discorso non è quello di dire: non devo soffrire perché c’è chi sta peggio.
Ma è davvero un discorso di gratitudine totale con la vita, che tutto sommato mi ha messa in una posizione privilegiata solo per un caso fortunato, quando potevo nascere in Siria e la Montessori mi poteva far sorridere amaramente.
La pedagogia positiva, per noi, si riassume così:
- niente tragedie educative,
- cercare sempre di essere allegri,
- affrontare le sfortune e i problemi con ottimismo,
- se possibile stemperare le tensioni con battute spiritose e una sana risata liberatoria.
Problemi di autostima e rabbia e concentrazione li abbiamo risolti molto banalmente dedicando tantissimo tempo a nostra figlia senza stare con le mani in mano: la mia fissa dei lavoretti è esattamente questo.
Usare i lavoretti creativi per instaurare un legame emotivo con mia figlia, farle superare delle sfide personali, mostrarle che un errore non è una cosa definitiva, mostrarle che alla fine si può riuscire sia impegnandosi di più, sia cercando altre soluzioni.
I più letterati lo chiamano problem solving.
Responsabilità, doveri, durezza: non sono parole che appartengono al nostro vocabolario.
Se si vive per la felicità, abbiamo già imparato l’empatia e la sappiamo già mettere in pratica.
Ci sono delle regole condivise, in base all’età (per lo meno così abbiamo fatto noi) su concetti fondamentali di sicurezza e di educazione.
Il resto è una cosa che facciamo insieme di volta in volta. E grazie a queste regole io trovo che mia figlia sia molto, ma molto più ‘obbediente’ di tante bambine che conosco, educate con estrema durezza e autorevolezza e pure qualche scapaccione.
Perché sa che in gioco non c’è fare bella figura con gli altri, ma la relazione con noi – e viceversa.
Io con mia figlia agisco con estremo rispetto, senza picchiare (MAI!) e dire cose brutte, perché so che in gioco c’è la cosa a cui tengo di più: la nostra relazione.
Arriveranno i problemi, ci sono già stati, abbiamo pianto di paura, e poi ci siamo fatti forti della nostra relazione e della nostra resilienza: alcuni li abbiamo risolti, altri li abbiamo evitati, altri ce li portiamo dietro come un fardello.
Ma noi non siamo il nostro problema. Noi siamo quelli che amano la vita.
Un mio carissimo amico un giorno mi disse: DECIDERE E’ RECIDERE.
Oh. E’ vero.
Ciao 🙂 mi piacciono molto i tuoi post e ormai anche se in modo un po silenzioso ti seguo già da qualche anno. Il mio cruccio principale sono i compiti ….si finisce spesso per litigare o ci si rovinano le giornate perchè non studia. Non pretendiamo chissà quale voto ma almeno la sufficienza per andare avanti si…ora fa la quinta elementare ma il prossimo anno incomincia le medie e non so come fare per farle piacere di più la scuola. Prima di iniziare questo percorso le piaceva molto l’idea ma poi la prima maestra che ha avuto ha distrutto subito tutto 🙁 e non siamo più riusciti a risollevarci… cosa potrei fare quest’estate, secondo te, per cercare di riprendere un po’ la cosa?
Io in estate non farei nulla, Lisa. Ormai mancano 15 giorni alla fine della scuola e i bambini sono stanchissimi. La mia non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto. Io cercherei di farla rilassare molto in estate.
Poi al massimo potete organizzare i compiti delle vacanze in modo che non si ritrovi a farli tutti con l’affanno. Insegnale a fare un piano di studio, così se lo porta dietro come abitudine anche in quinta.