Con gli occhi nel sole
Pubblicato il 14 Marzo 2017 da Mamma Felice • Ultima revisione: 22 Marzo 2018
Il concetto di felicità per me negli anni è cambiato, ed ho imparato una nuova parola che lo riassume alla perfezione: RESILIENZA.
La felicità non è solo un atteggiamento, come io ho sempre sostenuto, ma anche un modo di agire: la felicità è un processo attivo.
Possiamo apprendere la felicità perché possiamo imparare ad essere resilienti: invece di farci abbattere dai problemi, possiamo trovare soluzioni creative per risolverli, senza perderci d’animo.
Questa è la vera differenza tra chi ha la capacità di essere felice e chi invece non ce la fa proprio: saper agire, fare, cercare il cambiamento.
Un paio di settimane fa ho partecipato alla conferenza di Dompé, una delle maggiori aziende biofarmaceutiche italiane, che si occupa di ricerca scientifica per debellare le malattie rare oftalmologiche, spesso orfane di cura. Insomma: quelle malattie di cui nessuno si vuole occupare.
Ho colto l’energia della ricerca scientifica, di quelli che sono sempre in prima linea per combattere le malattie rare – questa volta le malattie rare della vista e degli occhi. Mi sono emozionata di fronte ai racconti di resilienza dei ricercatori, che studiano, effettuano test, elaborano i dati scientifici e poi riprovano, finché la malattia viene sconfitta.
Qui in particolare diventano testimoni dell’incredibile lavoro fatto dalla Montalcini: riprendendo i suoi studi sul fattore di crescita nervoso (NGF, dall’inglese nerve growth factor) per ridare la vista a chi l’ha persa, o non l’ha mai avuta.
Cosa che ovviamente richiede ingenti investimenti, a cui anche noi possiamo contribuire. Perché non è mica vero che le malattie capitano sempre agli altri! Infatti una tra le tanti frasi dette al convegno, mi ha colpita particolarmente:
Sostenere la ricerca è un atto di egoismo, non di generosità. Un giorno potrebbe servire anche a noi, o a chi amiamo.
Non so come vivrei senza la vista. Noi esseri umani abbiamo la grande capacità di far fronte alla malattia in molti modi, usando gli altri sensi e imparando a potenziarli, ma è davvero difficile mettersi nei panni di una persona non vedente, e comprenderne le difficoltà quotidiane – oltre che la difficoltà di usare la vista come discrimine per le proprie scelte.
Dompé ha prodotto In The Woods, cortometraggio per la campagna #fightforlight, metafora di chi si trova a lottare nel buio per scorgere un raggio di luce.
Quante volte scegliamo o non scegliamo un cibo per il suo colore? Quante volte ci innamoriamo di una persona per quel suo viso particolare o quel gesto inconsueto?
Piccoli esempi in cui la vista ci sembra davvero essenziale.
Per me, poi, come sarebbe scrivere tutti i giorni senza vedere? Come potrei scegliere le foto a corredo dei testi, correggere le bozze, controllare le statistiche?
Ma conosco un modo per vivere con gli occhi nel sole, in entrambi i casi: se abbiamo o non abbiamo il senso della vista. Perché possiamo vivere con RESILIENZA anche di fronte alla malattia, o al buio interiore.
Essere onesti con se stessi
Conosco tante persone, sia nella vita online che nella vita reale, che vivono due vite: la vita che devono dimostrare di avere; la vita che hanno nella realtà.
Credo sia faticosissimo dover far sempre funzionare la propria vita in base alle richieste degli altri: essere una brava mamma, essere una brava rappresentante di classe, essere una brava cuoca, essere una brava figlia…
E se bastasse anche un po’ meno?
Ma siamo sicuri che agli altri non andiamo bene per ciò che siamo? Siamo proprio sicuri che serva essere perfetti, quando la perfezione non esiste?
Siamo proprio sicuri che sia importante allinearci ai desideri degli altri, alle loro aspettative su di noi?
Io ho provato un enorme sollievo, quando ho smesso di cercare di accontentare gli altri. Ero arrivata al punto in cui, per cercare di accontentare tutti, alla fine scontentavo tutti.
Allora ho offerto solo ciò che potevo offrire, nel modo più trasparente possibile, e per il resto ho chiesto aiuto: incredibilmente l’aiuto è arrivato ed erano tutti felici di offrirmelo.
Ho imparato ad essere sincera con me stessa: non sono in grado di fare tutto, né di fare tutto bene.
Ma se volete io sono qui, con le mani aperte e gli occhi nel sole, e offro quello che so fare. Se io non arrivo, arriveremo insieme.
Accettare il passato
Ne parlavo pochi giorni fa con un’amica: dopo che abbiamo constatato che la nostra infanzia non è andata come volevamo, quanto tempo dobbiamo passare a piangerci addosso?
Questo vale per tutto. Ognuno di noi ha un dolore, un lutto, un momento di sconfitta atroce in cui si chiude un capitolo importante della vita.
Il nostro passato quanto tempo ci può tormentare? Quanto tempo dobbiamo dedicare al passato?
Diamoci una scadenza. Una settimana, un mese, un anno, dieci anni?
Poi il tempo finisce, e noi in cosa lo abbiamo impiegato? A ripercorrere tutte le ingiustizie che abbiamo subito?
Io dico sempre:
Se puoi cambiare un’avvenimento, cambialo. Se non puoi cambiarlo, accettalo.
Accettare non significa perdonare: significa prendere atto dei fatti e ricostruirsi, guardare avanti con gli occhi nel sole, scorgere la Luce e prenderla.
Pensare positivo
Non è la solita frase fatta: pensa positivo e tutto andrà bene. Io dico:
Pensa positivo e troverai la soluzione!
E’ nelle pieghe della creatività e del cambiamento, che si trova la Luce.
Possiamo scegliere di guardare il mondo con occhi tristi e osservare sempre in direzione del buio.
Oppure possiamo scegliere di guardare il mondo con occhi affamati, in direzione della Luce.
La vita è così breve, così imprevedibile, così flebile. Non voglio sprecarla nell’oscurità! Voglio godermela tutta, cambiando pelle quante volte sarà necessario, seguendo la scia della Luce.
Ho anch’io grande fiducia nella creatività per risolvere i problemi. Nella ricerca scientifica ho scoperto che c’è tanta resilienza, tanto coraggio e una buona dose di creatività.
sei fantastica! Ti leggo sempre con piacere e con rinnovata fiducia e speranza