L’importanza di essere sposata (con la persona giusta)
Pubblicato il 5 Novembre 2015 da Mamma Felice • Ultima revisione: 27 Febbraio 2019
Segnali di violenza prima del matrimonio: come riconoscerli, come difendersi, come andare contro gli stereotipi.
Ho sempre pensato che la violenza desse molti segnali, prima di diventare irreparabilmente femminicidio. E lo penso ancora. Se vado indietro con la mente, riesco a unire i puntini, a cogliere segnali inequivocabili, che spesso noi donne tendiamo a vedere in modo distorto per amore, o anche per vanità (in fondo, all’inizio, è bello che qualcuno sia folle di gelosia per noi).
Quindi è colpa delle donne, se subiscono violenza? Questo è un discorso così difficile… come fa la vittima ad essere anche responsabile della sua violenza?
Eppure, talvolta, sì, accade, e accade per i motivi più disparati: perché alle donne viene insegnato a sottomettersi sin da bambine, perché le donne rinunciano al loro posto nel mondo del lavoro – o nemmeno lo trovano e dunque dipendono dall’uomo in tutto e per tutto, perché le donne tendono a giustificare alcuni comportamenti come la gelosia e il possesso, perché le donne crescono i figli ripercorrendo gli stessi stereotipi di genere: le bambine educate ad occuparsi della casa, i maschi a fare la lotta e sporcarsi.
Una doppia violenza: le donne sono vittime di violenze domestiche, e nello stesso tempo accusate di non fare niente per liberarsi di quella situazione.
Il fatto è che bisognerebbe farlo prima.
Perché poi, quando sei vittima di violenza domestica, non ci sono più confini, non ci sono più margini, ogni soluzione diventa difficile, ogni non-soluzione diventa un pretesto, o un perdono, o una rassegnazione. Quando sei nella violenza, tu sei la tua violenza: resti annodata in quel sentimento in modo strettissimo, e imparare a dire di no e uscirne, è decidere di spezzarsi in due, abbandonare una parte di sé, andare verso l’ignoto. Perdere la propria violenza è un lutto: ammettere di aver scelto la persona sbagliata, ammettere di essere cadute nella sua trappola e averla tollerata un attimo di troppo, ammettere che è tutto da rifare.
Poi, anche in quel caso, tutto ciò che non è facile, può comunque essere semplice: ad un certo punto siamo noi a decidere fino a quando possiamo tollerare, e se siamo disposte a morire o se la vita ci è cara più di ogni altra cosa, e la rivogliamo indietro, la pretendiamo, perché vita e felicità ci spettano, e sono il nostro risarcimento. Ma…
Ma, comunque, bisognerebbe farlo prima. Cogliere i segnali, proteggerci, smetterla di sentirci lusingate dagli indizi del possesso. Smetterla di sentirci attratte da uomini che vogliono proteggerci, che sono gelosi, che fanno piazzate ai nostri amici, che non vogliono che lavoriamo, che vogliono dirci come vestire. Quelli che mia figlia chiama i ‘tipi tosti’. Quei ‘tipi tosti’ che picchiano i compagnetti di scuola se osano guardare la loro fidanzatina, quei ‘tipi tosti’ che ci dicono: sei la MIA donna, tu sei solo mia, io impazzisco di gelosia per te perché ti amo.
Da quelli, noi dobbiamo stare lontane.
I segnali ci sono, e dobbiamo coglierli in tempo:
- vuoi uscire vestita così? ti preferisco con un altro vestito, ti voglio più sexy, ti voglio con i capelli biondi;
- non voglio che lavori: sono io l’uomo di casa, sono io che ti devo mantenere, tu devi occuparti della casa e dei figli;
- non voglio che esci con le tue amiche, sono geloso. Io esco con i miei amici perché sono un uomo, tu puoi stare a casa con mia madre e le mie sorelle;
- gli uomini non fanno i lavori di casa;
- io sono abituato che mia madre mi cucina primo, secondo e contorno, lei cucina meglio di te, stira meglio di te, pulisce meglio di te;
- non devi fare così o dire così, capisci che io mi arrabbio perché sei tu che ti comporti male?
E poi via: il primo strattone, la prima piazzata davanti all’ufficio, poi inizia l’isolamento: si perdono gli amici, ci si allontana dalla famiglia, si lascia il lavoro, si fa un figlio… e si resta sole contro un uomo violento, senza mezzi per chiedere aiuto, senza soldi, senza famiglia e senza amici, e con la minaccia: Ti tolgo tuo figlio, se provi a lasciarmi.
E, di nuovo, la violenza è una scelta obbligata, di nuovo una doppia violenza, di nuovo un vicolo senza uscita.
Volete davvero questo per i vostri figli?
Volete che i vostri figli maschi imparino a sottomettere, e che le vostre figlie femmine imparino ad obbedire? Volete che i vostri nipoti stiano nel mezzo di questa situazione?
Chi lo vuole? E perché, se nessuno lo vuole, ci siamo ancora dentro con tutte le scarpe?
Ho letto un libro, pochi giorni fa: L’importanza di essere sposata.
L’ho scelto con il pretesto di parlare di quanto sia importante scegliere la persona giusta, e come cogliere i segnali di violenza prima di sposarsi, visto che il 25 Novembre ricorre la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Io che parlo dell’importanza di essere sposata, e ho sempre giurato che non l’avrei mai fatto. Perché volevo essere libera di decidere per la mia vita, perché non volevo incatenarmi a una situazione che poteva degenerare in violenza, perché non credevo che si potesse amare qualcuno per tutta la vita.
E infatti è così, anche dopo 8 anni di matrimonio. Il matrimonio c’è ed ha un valore che è andato molto oltre le mie aspettative: sposare l’uomo giusto mi ha regalato la libertà e l’indipendenza, mi ha resa forte di essere me stessa, mi ha dato la spinta per crescere. E non so se il nostro matrimonio durerà per tutta la vita, ma non è importante: so, però, di avere sposato la persona giusta, e che sarà la persona giusta anche se dovremo lasciarci, e che tutto potrà succedere sempre nel rispetto e nell’affetto reciproco.
E’ possibile, ma bisogna sceglierlo, bisogna cercarlo, bisogna pretenderlo dal primo giorno. Bisogna usare la testa, insieme al cuore, per cogliere i segnali.
Bisogna sposare qualcuno che ci rispetti e creda in noi, qualcuno che non ci faccia mai del male, mai.
Bisogna smetterla di comportarci come se fossimo il sesso debole: la vita ci appartiene, esattamente come appartiene agli uomini, e basta, basta, basta piangersi addosso e aspettare che qualcuno ci salvi. Basta con le favole di Principesse in attesa di un salvatore. A noi servono donne che salvano se stesse, ci servono le Cristoforetti e le Montessori, ci servono le Margherita Hack e le Lucia Annibali, ci servono MADRI che sanno sottrarsi alla violenza prima che i figli respirino la violenza.
Ci serve coraggio. Ci serve il coraggio di prenderci la nostra vita, di alzare il sedere e andare a lavorare subito, sin da giovani, invece di aspettare un uomo che ci metta incinta e ci mantenga. Ci serve il coraggio di avere successo senza vergognarcene, il coraggio di dire la nostra opinione in ufficio o durante le cene in famiglia, il coraggio di dire:
No, io merito di meglio, io lo voglio, io pretendo di avere il mio posto nel mondo, io non posso aspettare, io voglio tutto, e lo voglio adesso.
Ci servono storie, ci servono ispirazioni, ci servono libri: perché leggere ci rende più forti, e ci dà il coraggio dell’imitazione, e della competizione, anche, per prendere il nostro posto nel mondo.
Per essere insieme, alla pari – non uno più forte dell’altro.
L’importanza di essere sposata è un libro divertente scritto da Gemma Townley (la sorella della Kinsella) ed edito da Giunti: un romanzo che parla di una ragazza che deve sposarsi in 50 giorni, per ottenere un’eredità. E poi non vi dico come finisce, ma è semplice, perché la felicità non è facile, ma è semplice. Mi è sembrato un buon finale, ma soprattutto un buon inizio: diventare se stesse, prendersi la propria vita e la propria felicità, volersi bene. E’ scontato del 20% fino al 28 Novembre, proprio in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, e il 5% del ricavato di questo libro (e di una vasta selezione di altri libri Giunti scritti da autrici donne) sarà devoluto in beneficenza al Progetto “Piccoli ospiti” della ONLUS Pangea (www.pangeaonlus.org), in supporto ai figli di donne vittime di violenza domestica.
Leggere ci rende più forti, così come lavorare, ed avere coraggio, e cercare la nostra realizzazione e la nostra felicità.
Non è il 25 Novembre il punto di arrivo, ma tutto l’anno che gli sta intorno: quale felicità vogliamo salvare?
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Articolo in collaborazione con Giunti.