Perché i maschi non possono piangere?

Pubblicato il 24 Agosto 2015 da • Ultima revisione: 23 Aprile 2018

Uno studio ha rivelato come noi genitori da subito e inconsciamente attribuiamo un valore diverso al pianto di un neonato e a quello di una neonata.

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Durante la ricerca, a un gruppo di genitori venivano fatti interpretare dei pianti di bambini e bambine appena nati.
Quando veniva annunciato loro che a piangere era una femmina e veniva chiesta la ragione del pianto, la risposta era quasi sempre:
– “Ha paura”.
Quando invece veniva detto che a piangere era un maschio, la risposta era:
– “È arrabbiato”.

Quando non veniva detto nulla, i genitori risultavano essere molto più incerti.

Questo studio, oltre al dato scientifico che un po’ tutte noi mamme abbiamo sempre sospettato, ma non abbiamo mai osato dichiarare pubblicamente – e cioè che capire il pianto di un neonato è davvero difficile – ci dice anche che noi, per ragioni culturali, attribuiamo a bambini e bambine già dai primi giorni della loro vita, atteggiamenti diversi, anche se in realtà, biologicamente, per quanto riguarda il pianto, non c’è alcuna differenza.

Poi i bambini crescono e iniziano a piangere sempre di meno, mentre le bambine piangono meno anche loro, ma di fatto non smettono mai.

Uno stereotipo piuttosto sessista vuole che le donne siano più inclini al pianto per ragioni ormonali, ma non è così: la ragione, ancora una volta è culturale ed è data dal fatto che per tutta la loro vita le donne non sono mai state sanzionate per il pianto, che pertanto per loro non rappresenta un tabù, ma un’espressione come un’altra dei loro sentimenti.

Diversamente, gli uomini non piangono. Ma siamo sicuri che sia per insensibilità? O piuttosto per incapacità di riconoscere e incanalare in maniera sana le loro emozioni?

Quanta crudeltà c’è nella frase: “Piangi come una femminuccia?”
Come si saranno sentiti tutti i bambini a cui è stata rivolta?

Il problema è che purtroppo i bambini piccoli non hanno la prontezza di spirito di rispondere:

“Sì, piango come una femminuccia, e per fortuna sono libero come lei di esprimere la mia scontentezza nel modo che ritengo più appropriato per me in questo momento”.

Quei bambini invece non rispondono e iniziano a trattenere le lacrime. Iniziano a tenersi tutto dentro, al punto che risulta molto difficile per loro anche il solo riconoscimento delle loro emozioni: rabbia, paura, tristezza, frustrazione? Inizia a essere tutto indifferente.

Nel mondo adulto poi, le lacrime trattenute, e più in generale le emozioni negate, hanno un peso importante sul benessere, anzi, malessere degli uomini.

C’è da chiedersi veramente quale sia il vantaggio nel non piangere, da adulti.

Eppure la letteratura greca ci testimonia che i veri uomini, gli eroi, piangevano ogni volta che ne avevano voglia e bisogno, e senza vergognarsene.

Anzi, sembrava quasi che un uomo poteva essere completo e quindi “vero” solo se libero di esprimere le proprie emozioni. Oggi invece questa autenticità viene negata e molti uomini restano infelici senza alcuna possibilità di manifestarlo agli altri.

Come fare in modo quindi, che i nostri figli si trasformino in uomini veramente felici e liberi di esprimersi?
Come preservarli dalla gabbia che li tiene lontani dalla loro anima?
Come garantire loro allo stesso tempo forza e sentimento?

Alleniamo i bambini alle emozioni

Non solo pallone, corse in bicicletta, gare di tuffi: alleniamo i nostri figli anche a riconoscere e a dare un nome alle emozioni che provano. Concentriamoci non solo sulle loro conquiste atletiche, ma anche sui loro percorsi interiori.

Chiediamo loro come si sentono, se sono arrabbiati o tristi o felici. Si abitueranno a parlare di quello che provano e sapranno che è normale farlo.

Facciamoli disegnare

Il disegno è il mezzo espressivo più semplice ed efficace per i bambini. Dare una forma e un colore al sentimento della rabbia, per esempio, può essere molto liberatorio. Raccontare una paura con matite e pennarelli aiuterà i nostri figli a prenderne le distanze e a gestirla.

Facciamoci raccontare le emozioni che provano, attraverso i loro segni e commentiamoli insieme.

Raccontiamo di noi

Un buon metodo per incoraggiare i nostri figli a esprimere le loro emozioni è dare il buon esempio, e dire loro che anche noi ci siamo sentiti così.

Raccontiamo degli aneddoti che ci vedono protagonisti, creiamo empatia con loro: si sentiranno liberi di esprimersi e sapranno che non c’è nulla di cui vergognarsi.

Lasciamo spazio ai papà

Se vogliamo superare lo stereotipo per cui gli uomini non parlano e non esprimono le loro emozioni, dobbiamo dare il buon esempio, e lasciare che siano i padri a parlare di emozioni con i loro figli.

Vedere che non solo la mamma è attenta al loro stato d’animo, ma che anche il papà è competente e sensibile a questo, è il segnale migliore per i bambini, che cresceranno in un clima di equilibrio e di ricchezza espressiva.



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