I lavori dei maschi e i lavori delle femmine
Pubblicato il 10 Agosto 2015 da Benedetta • Ultima revisione: 23 Aprile 2018
I lavori dei maschi e i lavori delle femmine (riflessioni sul fatto che non esistono).
Come cresciamo i nostri bambini? Diciamo loro che da grandi potranno fare tutto ciò che vogliono, oppure in fondo in fondo dentro la nostra testa esiste una distinzione in base al genere? Ci preoccuperemmo se nostro figlio facesse nuoto sincronizzato, e nostra figlia facesse l’idraulico?
Qualche anno fa ho avuto il piacere di conoscere una giovane donna, impiegata in uno dei settori più “maschili” che esistano: faceva la minatrice. Parlando con lei, ho avuto veramente la sensazione che quello fosse proprio un “mestiere per maschi”, ma non per le presunte limitazioni fisiche (per superarle basta un po’ di allenamento in palestra), quanto per la fatica, quella sì estenuante, di dimostrare ogni giorno di valere professionalmente quanto un uomo.
E questo è uno dei pochissimi casi in cui la differenza fisica tra maschi e femmine potrebbe obiettivamente farci pensare che esistano lavori che le donne non possono fare. Eppure anche questo dato è stato smentito dopo che abbiamo visto le donne arruolarsi nei Marines e raggiungere prestazioni fisiche in molti casi anche migliori degli uomini. Del resto, non è che proprio tutti gli uomini che ci circondano siano proprio fisicamente prestanti, eh…
Ma il problema non sta tanto nello stabilire se una donna possa fare la muratrice e sollevare chili di mattoni (anche se ho visto donne che per pulire casa spostano armadi a muro con la leggerezza di un balletto di Tchaikovsky), il problema sta in tutti gli altri mestieri del mondo, in cui non esiste alcuna differenza fisica, eppure le donne non sono comunque bene accette. Per esempio nei posti di comando delle aziende, in cui il ruolo da dirigente è ancora quasi totalmente appannaggio degli uomini.
Il fatto che ancora oggi esista lo stereotipo per cui un uomo sia mentalmente incapace di organizzare l’economia domestica o che una donna, in virtù del suo ciclo mestruale, non sia adatta a coordinare delle relazioni diplomatiche tra Stati, fa sì che si dubiti sulla virilità dei – rarissimi – casalinghi e sulla femminilità (o sull’integrità sessuale) delle rare ambasciatrici nel mondo.
Ci si domanda in effetti come sia possibile che gli uomini siano in grado di programmare shuttle che vanno nello spazio e non un lavaggio delicato. Che le donne siano effettivamente più intelligenti?! Allo stesso modo, le donne, che quotidianamente dirimono questioni di territorio e lotta per il predominio tra i propri figli, non si capisce quale handicap dovrebbero avere a livello internazionale.
Quel che è certo è che la maggiore esclusione delle donne dal mercato del lavoro, ci costa il 7% del PIL (fonte Bankitalia), ma ci costa soprattutto in termini sociali: le donne hanno meno accesso allo studio e al mondo del lavoro, hanno stipendi minori rispetto a quelli maschili, e sono ‘sacrificabili’: se nasce un bambino, è la donna che resta a casa, perché il suo stipendio è spesso ininfluente.
Indice dell'articolo
Cosa possiamo fare per scardinare questo stereotipo di genere?
A casa, in famiglia: quello è il posto dove si combattono gli stereotipi, e dove si insegna ai figli che il futuro è nelle loro mani, e che potranno sentirsi realizzati e liberi. Liberi di essere se stessi, da piccoli e da grandi, e liberi di inseguire le proprie passioni.
In casa, insegniamo ai bambini con l’esempio
Non è più il tempo del padre padrone che porta a casa lo stipendio e non muove un dito. Davvero ci piace un marito che non sa nemmeno trovare i suoi calzini, o caricare la lavastoviglie, o cambiare un pannolino?
Iniziamo dalle faccende domestiche: la casa appartiene a tutti coloro che ci vivono, grandi e piccoli. Dividiamoci i compiti, e che ognuno faccia la sua parte. In questo modo il marito sarà l’esempio concreto che si può restare veri uomini anche se si fa una lavatrice, o ci si stira una camicia.
Quando nasce un figlio, manteniamo il nostro lavoro
Non dobbiamo dare sempre per scontato che alla nascita di un figlio la madre resterà a casa in automatico. Iniziamo a pensare in modo diverso, a pensare a quanti anni abbiamo studiato, alla fatica che abbiamo fatto, e soprattutto ai nostri desideri per il futuro.
Cerchiamo soluzioni che ci permettano di mantenere il nostro lavoro, quando c’è, anche come modo per insegnare ai figli che si può diventare madre senza per forza interrompere la vita per cui abbiamo faticato tanto. A volte non sarà possibile (l’Italia certo non agevola le madri, e lo sappiamo bene), ma proviamoci: insegniamo soprattutto alle bambine che avere un figlio non significa perdere la propria autonomia.
Evitiamo la distinzione dei giochi da maschi e da femmine
I volantini pubblicitari e i negozi stessi di giocattoli ci infarciscono di stereotipi: giochi tutti rosa per le femmine, giochi tutti azzurri per i maschi. Giochi di avventura e movimento per i maschi, e mini lavatrici e ferri da stiro per le femmine. Già lì inizia lo stereotipo per cui esistono i lavori da maschio e da femmina: al maschio attraverso questi giochi diciamo che potrà diventare ingegnere ed astronauta; alla femmina diciamo che potrà fare la casalinga.
Impariamo a scegliere giochi migliori: giochi neutri, di qualità, senza connotazioni maschio e femmina. Per esempio giochi artistici, costruzioni, corde per saltare e arrampicarsi. Ma anche giochi di ruolo, giochi che servono ‘a far finta di essere grandi’: la cucina giocattolo, che va benissimo sia per i maschi che per le femmine, le bambole, le macchinine.
Molti hanno paura a far giocare i maschi con la cucina giocattolo o con le bambole: da grande quindi questo bambino non cucinerà mai, e non accudirà mai suo figlio? Non cambierà mai un pannolino, non leggerà mai una favola della buona notte?
Accudire una bambola non rende gay: rende futuri buoni padri. Usare la cucinetta non rende gay: rende futuri cuochi.
Lasciamo scegliere ai figli il percorso di studi
Sin da piccoli, diciamo ai nostri figi che da grandi potranno fare ciò che desiderano, purché siano felici. Diciamo loro che gli vogliamo bene, e che li sosterremo. Non tarpiamo le ali ai figli a causa dei pregiudizi che hanno tarpato le ali a noi da piccoli.
Anche a parole, non limitiamo i loro progetti futuri
Anche le parole sono importanti, insieme all’esempio di vita. Non ridicolizziamo una bambina che da grande vuole fare l’escavatorista, o un bambino che da grande vuole fare il maestro. Abbiamo bisogno di bambini nuovi, di bambini che possano davvero essere felici e realizzati in futuro: non ci sono già abbastanza problemi, in Italia, senza aggiungerne altri?
Bell’articolo, dispiace però che nel 2015 dobbiamo ancora ribadire certi concetti.
Mio padre ha sempre collaborato in casa: lava per terra, riordina, carica e svuota la lavastoviglie, cucina. Lavora e ha i suoi hobby, eppure non c è giorno in cui non si sobbarchi qualche mansione domestica. La domenica capita che si alzi prima di tutti noi e ci faccia trovare la casa immacolata…
…eppure ciò non impedisce a mio fratello di sostenere a voce alta che sparecchiare o alzarsi a porgere il sale o qualsiasi altra cosa mentre si mangia insieme sia compito esclusivo delle donne di casa, quasi degradante se a farlo è l’uomo. Il tutto ovviamente riferito ad ognuna delle faccende domestiche tipicamente viste come appannaggio femminile. In questo caso l’esempio di vita e le parole non sono state sufficienti, di fronte all’influenza (pessima a quanto pare!) dell’ambiente del paesello. O forse sarebbe bastato obbligarlo a prendersi carico delle mansioni di sua competenza (farsi il letto, tenere la camera ordinata -le basi!-) piuttosto che accettare la prepotenza con cui pretende dalla mamma “stirami questo! Stendi questo!”, venendo puntualmente accontentato. A volte credo che, più che l esempio degli altri uomini, serve ai bambini che le donne impangono loro la disciplina e il rispetto. Invece tenerezza materna va sempre a giustificare “poverino/è stanco/ non mi costa nulla farlo/è piccolo”, salvo poi adirarsi quando si passa il limite. Se ti cuci addosso l’etichetta di serva, il bambino che ti vede così la appiccicherà addosso anche a tutte le altre donne del mondo.. come fare a staccarla, questa etichetta, dopo che il bambino diventa grande?
Sono molto molto molto d’accordo con te.
L’esempio poi deve essere anche delle madri. Se le donne per prime diventano serve – e per giunta con i figli maschi – rovinano tutto il lavoro fatto prima.
Il maschilismo spesso purtroppo viene proprio proposto dalle donne