Nemmeno con un fiore
Pubblicato il 13 Maggio 2015 da Mamma Felice • Ultima revisione: 23 Aprile 2018
“Non facciamolo arrabbiare”, dicono i bambini, ma anche le donne.
“Non facciamolo arrabbiare: se resta calmo, tutto andrà bene”.
Mettersi nella disposizione d’animo di diventare trasparenti, respirare piano, dare poco fastidio, ricordare nel minimo dettaglio cosa può scatenare la rabbia di un uomo, memorizzare e instancabilmente operare affinché tutto resti calmo. L’ho vissuto.
Non facciamolo arrabbiare.
I violenti sono come sanguisughe: succhiano l’energia vitale di chi li circonda. Sono come virus incapaci di vivere autonomamente: si insediano nel DNA del loro ospite, penetrano nelle sue cellule, violano il suo genoma e da lì, dal di dentro, diffondono la propria malattia, coinvolgendo tutte le cellule del loro ospite.
Proprio così, accade: ad un certo punto nell’ospite si insinua la malattia, il sentimento della colpa, la vergogna, la paralisi.
Improvvisamente fu come se l’aria avesse preso la consistenza del miele e noi, immersi come due mosche nel barattolo, ci muovessimo a fatica.
Nemmeno con un fiore, Fabrizio Silei, Edizioni GIUNTI.
Soprattutto in un Paese come il nostro, in cui la conta dei femminicidi è diventato ormai un rosario: quanto tempo occorre per imparare questa lezione? Come si annienta la violenza? Come si esce da una situazione di violenza familiare, come ci si accorge che è davvero arrivato il momento di andare via- anzi – come si precede quel momento?
L’ho vissuto, e dico la risposta: la violenza si annienta con la banalità.
La banalità di un pensiero: voglio essere felice.
La banalità di un’idea: merito più di questo.
La banalità della rivoluzione: non posso accettare di sprecare così la mia vita.
La banalità di certe regole, da memorizzare da bambini, per salvarci la vita: sono regole semplici, che vi salveranno la vita.
Studiare e lavorare
Le donne devono lavorare. Il lavoro è una potente arma di difesa (spesso non basta nemmeno il lavoro, quindi figuriamoci senza…): perché rende liberi, indipendenti, forti.
Le donne devono lavorare perché l’indipendenza economica è uno dei modi per uscire dalla violenza domestica.
Devono lavorare perché la violenza è un gioco di potere, e se le donne sono in grado di avere potere sul posto di lavoro, sono meno soggette a soccombere nella vita privata.
Una donna deve lavorare perché la segregazione è uno degli strumenti maggiori utilizzati da chi è violento, per impedire qualunque contatto della vittima con il mondo esterno, ma anche per impedirle di vedere una via di uscita possibile.
La prima volta è colpa sua
Un marito violento è un fidanzato violento. Non è vero che prima era tutto insospettabile e poi si è trasformato: era possessivo, era geloso, era un bullo.
Come dice mia figlia di 7 anni: un tipo tosto, mamma.
C’è stato un momento, da fidanzati, in cui si è comportato da bullo, in cui ha attaccato una mezza rissa perché qualcuno ti aveva guardata troppo, perché tu sei la sua donna e lui ti difenderà sempre, o semplicemente una volta ha detto, con nonchalance: magari potresti perdere peso, non mi piace quando ti vesti così… con quel pizzicore che una donna percepisce dietro il collo, quella nota stonata, che però poi passa perché: lui mi ama, lui è fatto così, lui mi protegge. IO LO POSSO CAMBIARE.
E se non c’è mai stato quel pizzicore, c’è stata una prima volta: un mezzo schiaffo, uno strattone, un calcio sul polpaccio, le dita piantate nell’avambraccio.
C’è stata una prima volta in cui lui ha alzato le mani. Non tanto, non forte, non da lasciare lividi. Ma tu lo sai che c’è stata. E quella volta è colpa sua.
La seconda volte è colpa tua è una frase che ha scritto Anselma dell’Olio dopo la morte di Barbara Cicioni, e che io cito sempre:
La vita che salvi, potrebbe essere la tua.
Crescere i figli maschi allo stesso modo delle figlie femmine
Non neghiamolo: in Italia i maschi vengono cresciuti spesso in modo diverso dalle femmine.
I maschi non piangono, i maschi non puliscono, i maschi non si lagnano, i maschi non mostrano le emozioni, i maschi non giocano con le bambole.
In un Paese in cui l’educazione dei figli è totalmente in mano alle donne, siamo ancora capaci di allevare i figli nel segno del maschilismo. Perché?
Vestiamo le bambine di rosa e compriamo loro la scopa giocattolo, il ferro da stiro giocattolo, il bambino che fa la pupù e chiede di essere cambiato lavato e nutrito.
Vestiamo i bambini di azzurro e compriamo loro fucili, autotreni, archi e frecce, monopattini. Se un maschio gioca con la cucina giocattolo, su Facebook la mamma scrive: mio marito è preoccupato che mio figlio diventi gay. Etciù! Uno starnuto, e diventi gay: come l’allergia ai pollini, non se ne esce. Basta toccare una cucina giocattolo e ZAC, colpisce inesorabile.
Alzare i tacchi e rinunciare ai beni materiali
Se niente ha funzionato, ho imparato una cosa: mollare tutto e scappare. Una delle cose peggiori che esistano al mondo, come quei disperati che si lanciano sui barconi con un sacco della spazzatura che contiene due stracci. Sì, così. Niente piatti del servizio buono, niente scarpe eleganti, niente computer, nemmeno gli orecchini ereditati da nonna. Nemmeno le foto.
Appena c’è l’occasione, alza i tacchi e scappa. Ho detto che è facile? No.
Perché tanto lo so che lo avete pensato, e che avreste voluto rispondere così con un commento. Ma infatti le cose facili le sanno fare tutti.
Siamo una famiglia felice…
Nemmeno con un fiore, Fabrizio Silei, Edizioni GIUNTI.
Fosse stato facile, non ci saremmo fatte menare…
Lascia tutto e scappa: hai davvero bisogno di un servizio di piatti che ti è stato regalato il giorno del matrimonio?
Non è colpa tua
Non è un tuo difetto, non è una vergogna: è una violenza. Non sei tu ad averlo voluto, e nemmeno ad averlo permesso. Non sei tu ad averlo provocato.
Non è colpa tua, non lo è stato mai, nemmeno quel giorno in cui hai sbagliato a mettere le posate o hai dimenticato di stirare i pantaloni o hai osato rispondere a tono.
Nemmeno con un fiore
Nessuno ha il diritto di picchiarci, nemmeno con un fiore:
Mamma non era solo delicata, era anche distratta. Si può essere felici, delicati e distratti, soffrire di capogiri, di piccoli svenimenti o non fare attenzione alle porte, alle finestre aperte, alle bucce di banana. Mamma era sempre stata così sin da quando avevo iniziato a capire qualcosa del mondo. Una donna bella, ma silenziosa, fragile, dalla pelle sottile e la carnagione chiara. Bastava toccarla perché le uscissero i lividi e così portava le maniche lunghe anche d’estate, per coprirli.
Io facevo attenzione a toccarla piano piano per non farle male e spesso le dicevo di badare a questo e a quello quando camminavamo o lasciava aperto un cassetto o quant’altro. Papà la prendeva in giro chiamandola: «La principessa di cristallo!» e quando era di buonumore: «La principessa sul pisello!»
Io e Mara ridevamo a crepapelle e anche mamma rideva e rideva, qualche volta doveva sedersi da quanto rideva, rideva fino alle lacrime. Altre volte invece non rideva per niente e continuava a fare quello che faceva con un’espressione triste. Allora papà diceva: «Scusate se ve lo dico ragazzi, ma vostra madre non ha il senso dell’umorismo! Molte donne sono così, meno male che tu, Mara, hai preso da me!».
Anche se con me e Mara mamma non era mai svenuta, o caduta, e non aveva mai sbattuto la testa da nessuna parte, sapevamo che le succedeva ogni tanto perché era di carattere distratto, come diceva papà. Sebbene in casa facesse tutto lei, spesso sbagliava a fare le cose perché, sempre come diceva papà: «Chissà dove aveva la testa».
Per questo motivo non lavorava, per badare a noi, e perché papà era contrario a farla lavorare e uscire di casa. L’uomo era lui, diceva, e a lui spettava il compito di provvedere alla
famiglia. Del resto con la sua piccola azienda i soldi non ci mancavano.
Mamma aveva lavorato un tempo, ma poi mio padre, prima che noi nascessimo, l’aveva fatta smettere e adesso doveva solo badare a noi e alla casa. Non capivo, allora, perché papà lasciava che si occupasse di noi senza temere per la nostra incolumità, nonostante lei fosse così distratta e sbagliasse spesso a fare le cose. A farsi male, infatti, era sempre solo lei.
Nemmeno con un fiore, Fabrizio Silei, Edizioni GIUNTI.
Bellissimo articolo Barbara. Hai detto le stesse cose che penso anche io. Per fortuna a me non è mai successo. Mia sorella ne ha trovato uno così, ma è fuggita in tempo. L’abbiamo fatta fuggire in tempo. Lei giura che non ha mai alzato le mani, ma io il dubbio ce l’ho. Come dici tu, ci deve essere una prima volta in cui lui alza le mani anche se non si vede.
Comprerò questo libro. Sono molto sensibile all’argomento. Grazie per averne parlato.
Oggi per fortuna la Legge è cambiata, e anche i parenti possono denunciare le violenze familiari. Fino a pochi anni fa questo non era possibile e solo la vittima poteva fare denuncia. Immagina…
Siete stati bravi. Fare uscire una persona da una situazione di violenza è un atto di eroismo, soprattutto quando si deve combattere contro una forma di negazione che è anche comprensibile.
Complimenti Barbara.
Faccio fatica ad esprimere le emozioni che mi hai tirato fuori per le mille corde di vissuto, di scampato, di sentito che hai toccato.
Un abbraccio
Sì, la fatica è tanta. Ti abbraccio anche io, scrivimi se hai bisogno.
Brava! E’ un post davvero forte e importante.
Barbara, approdo qui dopo aver letto la tua introduzione su facebook.
Quindi la chiave di lettura è ovviamente diversa, ma ti giuro che ho pianto. In ufficio, seduta alla scrivania ho pianto.
Il tuo post è importantissimo! E’ bello, profondo, si sente.
Grazie a nome di chi lo leggerà! Io lo diffondo… e spero lo leggano in tante
Un bacio
Fede
“Respirare piano…”
Si capisce tutto il dramma da queste sole due parole.
Trovo che certe parti del libro siano davvero realistiche. Come quella di sentirsi immersi nel barattolo del miele. O non dover respirare. Penso che dovremmo fare qualcosa di concreto per quelle donne che oggi sono dentro quel barattolo e non riescono ad uscire.
[…]
I puntini sono un respiro lieve.
Molto bello quello che hai scritto e molto vero. Mi tocca profondamente questo argomento. Sono mamma di un maschio e una femmina e sento il dovere e la responsabilità di farli crescere sapendo che hanno uguali diritti e uguali doveri. Non esistono “cose” da maschio o da femmina. Libertà e rispetto devono sempre prendersi per mano
Barbara, che dire, un articolo bellissimo. Trovo che si molto vero quello che dici; spesso sottovalutiamo l’importanza del nostro ruolo di educatrici; possiamo fare molto, come madri.
Mi fa molta rabbia vedere che in alcune scuole materne i maschietti hanno il grembiule azzurro e le femminucce quello rosa; so che che può sembrare una banalità, ma credo che le distinzioni di genere comincino da questi dettagli. E purtroppo, spesso, come sottolinei tu, siamo proprio noi mamme ed educatrici a cominciare. A mio figlio piace giocare con le macchinine e a mia figlia con le Barbie: è un dato di fatto. Ma Cicciobello piace a entrambi e anche la cucina giocattolo e va benissimo così. Nessuno dei due, però, giocherà mai con un fucile giocattolo, non in casa mia.
Non è affatto una banalità, e ti dirò di più: i maschi hanno il grembiule corto, in molte scuole, quindi solo una giacchina. E le femmine hanno quello lungo! Questo significa che è implicito che i maschi possano correre e muoversi liberamente e le femmine no!
Poi io so bene che esistono le naturali predisposizioni di genere: alle bambine spesso piacciono proprio le cose da femmine, e ai bambini le cose da maschi. L’importante però è che siano loro a sceglierlo, e che non venga imposto.
Sì: questa distinzione di abbigliamento che va addirittura oltre il colore è ancora peggio.
Quanto alle naturali predisposizioni di genere è esattamente questo che volevo sottolineare e cioè che esistono, ma bisogna seguire le inclinazioni del bambino, senza imporre niente; cercando, però, di educare, attraverso il gioco. Non mi piace mai quando vedo un bambino o una bambina giocare a spararsi con pistole o fucili. Non mi piace mai quando vedo giocare a essere violenti, e questo indipendentemente dal genere.
Margherita mi trovi molto d’accordo: anche io detesto le armi giocattolo in genere, soprattutto quelle moderne che assomigliano molto a quelle vere.
Devo però dire che i bambini hanno, di nuovo, una naturale predisposizione alla lotta, alla guerra, alla caccia. Io stessa ricordo di aver passato interi pomeriggi in giardino a costruire archi e frecce con i rami della siepe, o aver creato delle piccole fionde. Io credo che un senso del tragico e della battaglia forse sia anche comprensibile nei bambini, forse proprio per studiare le dinamiche della vita? Dovrei approfondire, studiare e magari scriverci qualcosa 😉
Comunque per me l’importante è che capiscano che giocare alla guerra è differente che fare la guerra, e che non abbiano mai in mano delle armi giocattolo somiglianti a quelle vere.
Grazie, Barbara, perché mi hai offerto un punto di vista diverso: forse tutto questo giocare alla lotta ha, in sé, qualcosa di naturale e innato… Ci penserò su…
In ogni caso, c’è una cosa che voglio dirti, a proposito di quello che hai scritto in questo di post e di quello che scrivi in generale: io non ti conosco personalmente, ma ti leggo spesso e penso che tu sia stata (e sia) molto in gamba.
Sto cercando di crescere un figlio che abbia rispetto dell’altro sesso, come ti tutti in generale e la cosa bella è che ancora prima di me lo sta facendo suo papà!
Questo credo sia davvero la chiave per la parità, perché solo con l’esempio di un padre, può nascere un uomo vero.
Una volta li ascoltava mentre erano sotto alla doccia, luca gli diceva che in casa dobbiamo aiutarci tutti, che i lavori di casa vanno divisi, non solo lavori sono da donne! Gli diceva che le donne vanno rispettate e appunto che non vanno toccate nemmeno con un fiore! Alessandro nei suoi momenti no ogni tanto mi prende a testate, si ribella solo come me, in uno di questi casi luca ,come se fosse anche ale un piccolo uomo gli ha detto “sfogati su di me non sulla mamma e poi ne parliamo”
Barbara, immagino la fatica che c’è dietro a questo articolo. Il tuo post e il libro andrebbero letti a tutti, donne, uomini e bambini.
post bellissimo.
Tutto vero.
Non è facile.
Le cose giuste da fare non sono mai facili.
Dobbiamo dare ai nostri figli il miglior esempio d’amore possibile.
Questo include: presenza, mutuo soccorso, parità, gentilezza, gioia e soprattutto RISPETTO.
Le mani mai vanno alzate.
MAI.
sei speciale e… E’ COLPA SUA!
Ma questa è bellissimaaaaaaaaaa!
Anche stavolta con questo post colpisci nel segno….
Brutti litigi visti con gli occhi di bambina e che mi ero ripromessa di non rivivere mai da adulta e mai far vivere ai miei figli, “pizzicori” da fidanzata che però non ho capito subito ed ho rielaborato solo dopo, le prime volte che… Era meglio piangere qualche mese allora da ex-fidanzata per un amore finito, che piangere una vita intera per un non-amore che vuoi far finire.
Come dici te, il carattere non si può cambiare e passare una vita “non facendolo arrabbiare”, facendo attenzione a ricordare ogni cosa possa scatenare la rabbia o semplicemente sperare che non si arrabbi NON E’ VITA. Non dobbiamo rinunciare a ciò che vogliamo fare, non possiamo annientarci, per poter avere la loro approvazione. La calma apparente fatta di qualche momento di coccole o parole dolci non è felicità! E’ solo un breve spot pubblicitario all’interno di un lungo thriller…
Più che altro devo salvare da se stesso uno dei miei figli, quello che non riesce a gestire la sua rabbia, che non riesce ad accettare i rifuti. Il dovere dei genitori è crescere un bambino aiutandolo a imparare a diventare adulto nel migliore dei modi e quindi come mamma non posso permettere che diventi anche lui così da grande… non voglio certo cambiare il suo carattere, ma deve imparare a gestire le sue emozioni per poter essere un uomo, un marito e un padre. Perchè poi è un bambino dolcissimo e pieno d’affetto, ma è l’alternanza ai momenti di rabbia estrerma che mi fa preoccupare.
Sto ancora elaborando, sto ancora cercando di capire cosa fare, anche se come dici te sarebbe meglio lasciare tutto e andare via… ma è difficile. Però sono lucida, cosciente, il virus sarà anche entrato ma non mi farà ammalare, non mi farà venire sensi di colpa, perchè io so che la colpa è sua, anche io ho dei difetti e cose da cambiare su me stessa ma per me e i miei figli, non certo per lui, perchè niente può giustificare il suo comportamento in quei momenti… Anche se purtroppo non l’ho riconosciuto subito ed è già entrato, non permetterò però a questo virus di modificare il mio DNA, ora come un anticorpo devo combattere e sconfiggerlo.
Intanto guardo sempre il programma su Rai3 “Amore criminale” dove vengono raccontate e ricostruite storie (estreme) di donne che hanno subito violenza, ma cambio canale non appena lui rientra a casa, perchè “ma cosa guardi, cambia, che queste storie fanno venire l’angoscia”… secondo me è lui che non riesce a guardare per non ammettere a se stesso la realtà…
Avete mai fatto caso ad una cosa: una caratteristica comune in tutti i casi è che, secondo il loro pensiero (distorto), loro non sbagliano mai, non è mai colpa loro, fanno sempre tutto giusto, non riescono a prendersi la responsabilità dei loro comportamenti, “guarda cosa mi ha fatto fare”….
Scusate, ho di nuovo scritto troppo, come un vaso di pandora è uscito tutto quello che tenevo dentro…