Per essere bambini ci vuole coraggio
Pubblicato il 21 Aprile 2015 da Mamma Felice • Ultima revisione: 5 Maggio 2015
Per fare i bambini occorre coraggio: è tutto da inventare. Imparare a nuotare, imparare l’alfabeto. Scegliere quale mestiere fare da grandi. Imparare a pagare le bollette, a vivere da soli, ad avere figli.
Io ne ho un ricordo nettissimo: guardavo ‘i grandi’ guidare, o andare in banca, e mi dicevo:
– Non ne sarò mai capace, loro sono straordinari, ma come possono riuscire a fare tutte queste cose difficili?
Poi si diventa grandi e si sorride alle proprie paure: si affrontano gli esami delle superiori, si prende la patente, poi il primo stipendio… e in un battito di ciglia sei genitore, e ricomincia il cerchio della vita. Ma per arrivare a queste scelte, a sconfiggere le proprie paure, a prendere le decisioni giuste (dopo quelle sbagliate), ci è voluto tanto coraggio, forse anche un pizzico di incoscienza, l’inventiva, la passione, la voglia di buttarsi.
E poi ci sono quelle paure ataviche, quelle che da bambino ti ispirano senso di protezione e sicurezza: la paura del buio, ad esempio, o la paura delle malattie, del dottore, di perdere qualcuno o farti male. E ci va del tempo, per capirle, e per afferrarle. Per non avere più paura dell’ignoto, o diventare abbastanza grande da averne ancora paura, ma dirsi che non importa, che ce l’hai sempre fatta e ce la farai ancora, che la vita è meravigliosa e ti riserva sempre un giorno migliore.
Da piccola per sconfiggere la paura del buio avevo antropoformizzato gli oggetti della mia cameretta: la lucina notturna sembrava il grosso naso verde di un buffo omino con gli occhi piccoli piccoli a forma di vite. Sul muro, una piccola increspatura a forma di semicerchio sembrava la bocca sorridente di un pupazzetto, a cui avevo aggiunto due puntini di occhietti a matita, leggeri leggeri.
Quante volte ho guardato sotto il letto per vedere se ci fosse nascosto qualche mostro. Quante volte l’accappatoio appeso mi sembrava uno sconosciuto pronto ad aggredirmi. Poi bastava accendere la luce, guardare con occhi amorevoli tutti i miei peluche sugli scaffali, e dirmi che no, in effetti non c’era nessun alieno pronto ad assalirmi protetto dal buio.
Ma il buio è una metafora, no?
E il modo migliore per affrontare questa paura è parlarne, anche attraverso il racconto di storie semplici, in cui i bambini possono immedesimarsi. Noi quando Dafne era piccolissima abbiamo affrontato questo momento con un gioco (lo spray anti mostri e tanti altri giochi divertentissimi). Oggi possiamo parlarne come ne parlano le persone grandi, o possiamo leggere delle storie che ci fanno riflettere.
Tra le mani in questi giorni avevo i libri di Topo Tip della collana GIUNTI, incentrati sulle paure dei bambini:
- La mia giornata
- La mia famiglia
- Dal dottore non ci vado!
- Che paura il buio!
Li ho trovati molto delicati e rispettosi: mi piace che i bambini vengano rispettati come persone, piccole, ma pur sempre persone, esseri umani che hanno emozioni come le nostre, con l’aggravante di non saperle ancora codificare. Mi piace che ai bambini si racconti la bellezza semplice della vita: l’importanza dei nonni e delle loro storie, le lucciole, le stelle cadenti, la campagna… Storie che hanno il sapore antico di una volta, eppure sono illustrate in modo moderno e spiegate con parole belle.
Mi piace che ai bambini si insegni a parlare dei sentimenti, a dare un nome alle emozioni. E la paura non è niente altro che un’emozione, né negativa né positiva, della vita: un segnale di attenzione, un istinto primordiale che ci dice di prestare attenzione, per il nostro bene. Il coraggio è fratello della paura, perché attraverso i segnali, anche fisici della paura (battito cardiaco accelerato, respirazione profonda…) il nostro stesso corpo trova la forza della reazione, sviluppa l’attenzione verso i pericoli, ci preserva da situazioni spiacevoli.
La paura del buio, alle elementari, è anche un’elaborazione della vita stessa del bambino: il buio rappresenta i litigi con i compagni, i problemi scolastici, le incomprensioni familiari, l’ignoto rappresentato dal futuro (ignoto che è esso stesso una condizione dell’età evolutiva). Il buio diventa il contenitore in cui il bambino sente di essere vulnerabile: cerca la nostra protezione, la sicurezza, la certezza delle cose familiari, la rassicurazione. I nostri figli vogliono sapere che non li abbandoneremo, che gli vorremo bene anche se sbagliano.
I bambini vogliono conoscere la nostra stessa vulnerabilità, nei racconti, per immedesimarsi e tranquillizzarsi. E non è semplice mediare tra le nostre paure troppo grandi da spiegare, e le paure che possiamo invece raccontare perché in qualche modo abbiamo saputo superarle. Come del resto non è semplice essere grandi, diventare grandi, trovare se stessi.
Questa è la sfida, come sempre: prima di tutto cercare di migliorare noi stessi. Poi insegnare ai bambini che la vita non richiede perfezione, ma solo volontà di fare meglio di ieri.
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Post in collaborazione con Giunti.
Carissima Mamma Felice,
sono d’accordo con Te.
Mi dispiace solo una cosa: la mia mamma è morta qualche anno fa e non ti ha conosciuta. Sarebbe stata una tua fans sfegatata.
Ti abbraccio
Giovy
Giovy ti abbraccio tanto. Grazie per quello che hai scritto.
Io da piccola avevo il terrore dei clown, soprattutto durante i temporali!!!! :argh:
E poi, il primo amico da carta stampata non si scorda mai. W topo tip