Non sono bambinocentrica perché fare la mamma non è un lavoro
Pubblicato il 22 Luglio 2014 da Mamma Felice • Ultima revisione: 23 Aprile 2018
Penso sia evidente quanto io sia felice di essere diventata mamma. E’ stata una roba prepotente: mi son stancata, ma mi sono sempre divertita come una pazza. Ho giocato più da adulta, come madre, che da bambina. Mi son sporcata le mani, mi sono inventata una vita nuova, mi sono fatta un sacco di risate e continuo a farmele, soprattutto adesso che Dafne ha sei anni: giochiamo a Indovina chi, ai videogiochi, disegniamo insieme, e lei sta persino iniziando a scrivere i suoi primi ‘post’ per Mammafelice (ben tre righe scritte su Google Drive… speriamo di poterle dare presto una rubrica! 😉 ).
Ma, come dico sempre, e non penso che smetterò di dirlo: secondo me fare la mamma non è un lavoro. Lo so che almeno la metà delle mie amiche non concorda con questa affermazione, ma io non riesco a smettere di dirlo. Per me, nella sua definizione classica, un lavoro è quella cosa per cui a fine mese guadagni uno stipendio, o è un’attività che,anche gratuitamente, viene svolta in modo professionale.
La professione di mamma per me non esiste, perché altrimenti esisterebbe la scuola delle mamme, il diploma delle mamme, e magari pure le ferie pagate! 😉
Ne ho sprecata tanta, di vita, io. Proprio tanta. Ormai è fatta, lo so, ed è inutile struggermi al pensiero che ho quasi 40 anni (ne ho 38, comunque) e che adesso vorrei poter rosicchiare il tempo perso per buttarlo in avanti, ma non posso. E quindi, siccome ho già sprecato abbastanza tempo, ho deciso, da qualche anno a questa parte, che io sono importante.
Io sono importante perché sono ancora viva, e finché resterò viva mi prenderò cura di me stessa (più o meno), perché – semplicemente – me lo merito.
Mi alzo al mattino, lavoro, faccio delle bellissime lavatrici, so cucinare le lasagne, ho le borse a forma di pesce, faccio battute spesso simpatiche e quindi me lo merito.
TUTTE ce lo meritiamo.
Mia figlia è dentro il mio cuore, e le ho fatto tutto lo spazio di cui ha bisogno, ma io ci sono, esisto, ho bisogno di me.
Per questo non sono bambinocentrica.
Non programmo la mia vita in funzione di quella di Dafne, e non l’ho mai fatto: ho sempre rispettato i suoi tempi in tutto, senza obbligarla a vivere come un’adulta, ma anzi penso di aver rispettato profondamente la sua infanzia – o almeno ho cercato di tutelare la sua infanzia il più possibile.
Ma non mi sono mai negata una serata di chiacchiere con mio marito, uno spritz con le mie amiche, una serata di shopping online in solitaria, la lettura di un libro, la porta chiusa in bagno quando ho voglia di stare da sola, la domenica mattina a letto…
Non mi sono mai negata quei piccoli ‘vizi’ che a me avrebbero fatto la differenza (rendendomi scontrosa o stanca o insoddisfatta) e a lei no.
Ho la mia stanza, ed è sacra.
Ho la mia borsa, ed è sacra anche quella.
Il mio telefono, i miei bijoux, i miei smalti, le mie amiche, mio marito.
Non ho mai pronunciato la frase: Ho rinunciato a questo per te / Ho fatto questi sacrifici… e non voglio pronunciarla mai. I figli non ci chiedono sacrifici: ci chiedono ATTENZIONE. Darle il mio tempo – anzi: condividere il NOSTRO tempo – è l’unica richiesta che mi abbia mai fatto davvero.
Quindi non penso che noi madri dovremmo essere ‘solo’ madri. Penso che dovremmo essere tante altre cose, ed essere tutte le cose che vogliamo. Penso che abbiamo il diritto di avere un compagno o una compagna che condividano con noi le incombenze della casa e della famiglia. Penso che dovremmo avere un lavoro o cercarlo. Penso che dovremmo avere delle amiche. Penso che dovremmo avere degli interessi personali.
Mia figlia mi ha dato l’amore più puro, più reale e più grande che io abbia mai avuto, ma non può darmi tutto: è una bambina, e non può avere sulle spalle il peso di darmi altro, oltre a quello che mi ha già dato.
Non sta a lei darmi soddisfazione, gratificazione, realizzazione personale, vanità… e tutte le altre cose di cui sento il bisogno come donna.
C’è una cosa che mi ha tenuta viva negli anni, anche quando la vita l’ho sprecata alla grande: la libertà.
Sono libera, e anche se probabilmente non scapperò mai di casa abbandonando marito e figlia (mai dire mai), la mia mente non si ferma mai in un solo posto: faccio ancora gli scarabocchi sulla moleskine e continuo a sognare, e so che in qualche modo, anche nella peggiore delle ipotesi, la sfangherò ancora, perché il peggio è già passato.
Essere libera. Essere libera di essere me stessa, e anche di cambiare me stessa.
E per farlo, ho bisogno di mettermi al centro.
Non me ne vergogno.
Per diversi motivi, quando mio figlio aveva più o meno tre anni ho dovuto rinunciare al lavoro e rimanere a casa. Io non dico mai “per fare la mamma”, ma “per seguire la famiglia”. E’ un po’ diverso come concetto, secondo me. Là dove “famiglia” non è solo un figlio da crescere, ma è anche il marito con un lavoro per cui sulla sua presenza ad orari certi non si può contare nè di giorno nè di notte, i nonni che non sono autonomi negli spostamenti e che vanno aiutati, accompagnati, curati perchè si ammalano, sostenuti nella vecchiaia e nella solitudine, e dove “famiglia” sono anche io, che (come mio marito ripete quasi ogni giorno) quando sto bene e sono serena nonostante i problemi che abbiamo più o meno tutti, aiuto anche gli altri a stare meglio. Non è una responsabilità da poco. Non è un dovere da poco che ho verso me stessa in primis, quello di prendermi cura di me. E ben venga, perchè tutto questo dare-e-avere dà un senso alla mia esistenza, e un senso bellissimo, nonostante io sia apparentemente quello che molte donne, oggi, definiscono una “mantenuta” solo perchè non percepisco uno stipendio.
E’ questo il punto. Prendersi cura di sè non è essere egoiste. E’ darsi la possibilità di essere amate ancora di più. C’è chi probabilmente è nata per dedicarsi anima e corpo a marito e figli ed è in pace con la sua coscienza quando si è alzata alle quattro del mattino per offrire loro pane appena sfornato per colazione fatto con le sue mani, sono scelte che non discuto. Io non sono così. Io mi trucco, una sera a settimana frequento un coro (è una delle mie passioni), quest’anno mi sono iscritta finalmente anche ad un corso che mi tiene occupata un pomeriggio a settimana, i miei cassetti sono sacri, le mie scatole del materiale creativo sono protette da un immaginario filo spinato, il mio argomento di conversazione predominante non è mio figlio se non ai colloqui coi professori, quando il tempo e la temperatura lo permettono faccio lunghe corse in bicicletta per mantenermi in forma, e spesso i miei “uomini” pedalano assieme a me, come a volte anche no. Io mi piaccio così. E udite udite, anche alla mia famiglia piaccio così.
Oggi mio figlio ha tredici anni, ha le sue piccole o grandi autonomie, non ha bisogno di me 24 ore al giorno, anzi, la mamma “scassa”, si dice alla sua età. Rimane nel retroscena, lavora dietro le quinte, ha un ruolo diverso, non gli gestisce più la vita. Ha più tempo per sè. Può permettersi di dormire di più la domenica mattina anche, perchè a tredici anni se si sveglia presto scende e si prepara la colazione da sè. Sempre che non debba essere accompagnato a qualche gara di atletica, altrimenti ovviamente salta anche la dormita, ma fa parte del gioco.
Ecco, se negli anni passati non mi fossi impuntata nel volere a tutti i costi rimanere attaccata al mio mondo di donna, ai miei interessi, alle mie passioni (con i dovuti tempi, si capisce, mettendo comunque sempre davanti i tempi e le esigenze di mio figlio man mano che cresceva), ai miei spazi, oggi mi sentirei, ne sono sicura, come se mi mancasse l’aria sempre di più giorno dopo giorno. Manca il figlio, manca l’ossigeno. E invece no. Mai e poi mai.
Sono stata malata. Tanto. E gravemente. L’ho superata. Sto uscendo dagli strascichi di questa cosa, vivo nell’incertezza, non ho una salute di ferro, i conti con la vita devo tenerli sempre aperti. E quasi tutti mi dicono che mio figlio mi deve aver dato la forza per farlo. E invece no… La forza me l’ha data e me la dà il MIO desiderio di vederlo crescere e di fare un mucchio di altre cose ancora. E’ molto, molto diverso.
Non si può addossare ad un figlio la responsabilità della propria felicità o della propria infelicità. Prima o poi nostro figlio ci lascerà, dobbiamo farcene una ragione fin da quando siamo coscienti di averlo concepito. Non possiamo addossargli la responsabilità di averci svuotato completamente la vita dopo avercela riempita, solo per aver fatto quello che è la cosa più naturale per un figlio sano: lanciarsi nella vita sua. Non sopporto di sentir dire “mio figlio è la mia vita”. No, cappero. Romantico, ma per me inaccettabile. La mia vita sono io. Lui l’ha solo resa più meravigliosa di prima.
Un abbraccio.
Questo commento è una poesia: intenso, bellissimo, saggio, pieno di consapevolezza. Sono onorata di averlo potuto leggere tutto d’un fiato e ti ringrazio.
– Prendersi cura di sè non è essere egoiste
Sono d’accordo al 100%, e anzi, secondo me chi si prende cura di sé è generoso! Io dico sempre che noi siamo come un pozzo: se ci svuotiamo, non c’è più acqua per nessuno!
Se invece ci coltiviamo, ci arricchiamo con hobby e interessi, coltiviamo relazioni e amicizie… allora diventiamo persone migliori e siamo migliori anche per i figli.
– Non si può addossare ad un figlio la responsabilità della propria felicità o della propria infelicità
Non sai quanto, quanto, quanto sono d’accordo!!! Quante volte sento parlare i genitori che dicono che per i figli fanno solo sacrifici, e con tutto quello che ho fatto, e blablabla.
I figli non ci chiedono niente! La nostra vita siamo noi, come dici anche tu: io sono la mia vita, io ne ho la responsabilità, io ho il dovere di rendermi felice. non mia figlia.
Mia figlia ha il dovere di fare lo stesso per se stessa.
Grazie di cuore
Grazie per le tue parole, io sono nell’età in cui sento che ho poco tempo per decidere….e sto continuando a trovarmi in un loop mentale per il quale non so se avere o non avere figli, proprio perchè non ho alcuna voglia di ritrovarmi ad essere una di quelle madri frustrate che si dimenticano di se stesse per il “bene” dei figli, per poi rimpiangerlo e magari farglielo inconsciamente pesare. Ho sacrificato tanto nella mia vita, la libertà di una donna è sacra e io sono un essere umano che deve anche pensare a se stessa e rispettarsi prima di essere una madre. Mi terrorizza la possibilità di “annullarmi per qualcuno” che sia anche un figlio, e mi spaventa la possibilità che un figlio possa cambiare in peggio il mio equilibrio di coppia, sono purtroppo circondata dalla maggior parte degli esempi (compresi i miei genitori e forse qui sta il vero problema) di persone che non viaggiano più, non escono più, sono genitori che litigano per l’educazione dei figli e si scordano di essere ( stati?) una coppia prima di tutto….Se mai dovessi uscire da questa palude di indecisione in cui mi trovo e decidere di avere un figlio, spero di essere una madre equilibrata come te. Ti ringrazio di aver scritto queste parole.
Dalia, secondo me i figli fanno meno paura di quanto la gente dica. Purtroppo chi sacrifica tutto per i figli (soprattutto le mamme, mi dispiace ammetterlo), sono donne che non lavorano o hanno l’ambizione di non tornare a lavorare. Se un figlio rovina la coppia, è perché in quella coppia già manca qualcosa. Spesso vedo madri che si attaccano ai figli tanto da farli diventare i sostituti del proprio compagno: tutte le cose belle come l’allattamento prolungato, il cosleeping, l’attaccamento parentale, hanno un tragico risvolto della medaglia: se non si è diventati adulti completi, possono diventare una gabbia e sfociare in un attaccamento morboso. È vero.
Dall’altro canto, se tu invece sei una donna che ha già lavorato su se stessa, con consapevolezza, io non credo che tu possa perdere di vista la tua vita.
C’era un mio professore, all’università, il prof Quaglia, che diceva che per crescere bambini ‘sani’ il genitore deve entrare nel ruolo del genitore, uscendo da quello del figlio.
Passare egli stesso da una condizione di figlio, a una condizione adulta. Io credo che talvolta manchi proprio questo passaggio.
Del resto, se vediamo la situazione italiana, tante coppie si sposano passando dalla casa dei genitori alla propria casa, senza mai aver vissuto da soli, senza mai essere usciti da quella condizione di figlio.
Ecco, io credo che tu, ponendoti questi dubbi, sia già consapevole abbastanza.
E poi guarda, secondo me niente di meglio che affrontare i grossi cambiamenti della vita andando dalla psicologa – lo dico con convinzione personale – oppure, una volta nato il figlio, avere sempre a portata di mano una brava pedagogista.
Io credo che quello che possiamo fare è amare i figli, restando al centro di noi stessi.
Toglierci di dosso quell’ottica un po’ cattolica, se mi permetti, del sacrificio, per non sacrificare nulla che per noi è importante. Il bambino avrà il suo spazio lì, nella nostra libertà e felicità.
Un abbraccio.